Il quiet quitting è il nuovo fenomeno che sta interessando l’attuale mondo del lavoro, già movimentato dai molteplici cambiamenti portati dalla pandemia. A discapito del nome che sembra preannunciare dimissioni, il quiet quitting consiste nel limitarsi alle mansioni ordinarie previste dal proprio ruolo, all’interno delle canoniche otto ore lavorative.

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Il quiet quitting pone l’attenzione sul livello basso di coinvolgimento che stanno vivendo i lavoratori di tutto il mondo, tuttavia il fenomeno può essere letto anche attraverso la lente positiva della ricerca di un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata.

Da cosa deriva il Quiet Quitting

L’utilizzo del termine quiet quitting è stato reso virale negli ultimi mesi dai social, in particolare da Tik Tok. Il trend di moda nel web acquisisce una importanza notevole perché avallato dalle evidenze sulle dinamiche della forza lavoro contenute della ricerca annuale di Gallup, società americana di ricerca e consulenza, che ha intervistato circa 68.000 impiegati in 140 diversi paesi del mondo: secondo Gallup il 44% dei lavoratori è risultato quotidianamente stressato.

Per quanto riguarda il livello di coinvolgimento degli impiegati, Gallup riporta una media mondiale del 21% dei lavoratori che dichiarano di essere coinvolti dalla propria occupazione. Il dato cala in Europa con il 14% e crolla drasticamente in Italia, arrivando ad appena il 4%.

Anche i dati di Asana, un’azienda che ha ideato una piattaforma per la gestione del lavoro via web, segnalano un forte disagio nella forza lavoro: 7 dipendenti su 10 hanno sperimentato il burnout nell’ultimo anno. 

Un’interpretazione costruttiva

Alla luce dei dati, si può sostenere che gli impiegati di tutto il mondo stiano affrontando un forte periodo di malessere. Il mercato del lavoro ha subito stravolgimenti dirompenti durante la pandemia con lo smart working e il cambio dei processi tecnici e relazionali, che sono sfociati in fenomeni come le dimissioni di massa americane.

Il quiet quitting potrebbe non essere letto come una ulteriore risposta di protesta dei lavoratori insoddisfatti, ma come una ricerca di un equilibrio tra la vita privata e quella che è stata definita hustle culture. Questa tendenza identifica il valore di una persona secondo gli obiettivi lavorativi che raggiunge. La scala di valutazione è incentrata sulla carriera e sull’autorealizzazione in termini di status sociale.

La hustle culture ha influenzato il modo di percepire e vivere il lavoro delle generazioni precedenti a quella dei Millennials, avallando comportamenti di sfruttamento delle risorse nelle aziende e negli uffici. Nella cultura della competizione portata all’estremo è stato richiesto alle risorse umane di assumere atteggiamenti non salutari e distorti in modo da sembrare virtuosi.

Lavorare oltre l’orario prestabilito, non rispettare gli spazi della propria vita privata, rimanere perennemente connessi con e-mail e sistemi di comunicazione aziendale, sono tutte dinamiche che hanno portato all’esaurimento i dipendenti.

Il quiet quitting invece non deve essere confuso con la negligenza o l’apatia sul posto di lavoro, consiste piuttosto nel riportare il lavoro all’interno dei giusti confini. I dipendenti oggi hanno riposizionato il lavoro all’interno delle loro esistenze, sfruttando la rivoluzione culturale portata dalla pandemia, cercando di raggiungere equilibri più sani e sostenibili.

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Chiara Bastianelli

Chiara Bastianelli

Laurea in Economia e Direzione Aziendale.Project manager in una società di consulenza strategica per le imprese.Appassionata di aziende, finanza e letteratura.

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