La maculopatia senile, o degenerazione maculare legata all’età (DMLE), è una malattia che colpisce la parte centrale della retina, chiamata macula. Questa zona è fondamentale per la visione distinta, ossia per vedere bene i dettagli, leggere, guidare e riconoscere i volti. Con l’avanzare dell’età, la macula può danneggiarsi e la vista centrale diventa sempre più sfocata o distorta, conducendo alla cecità.
Attualmente la DMLE rappresenta la prima causa di cecità mondiale. La sua incidenza passa dal 2% della popolazione compresa tra 55 e 65 anni, fino al 25% della popolazione con oltre 75 anni di età. Si stima che oltre due milioni di italiani ne siano affetti, con un’incidenza crescente in relazione all’azione degli agenti ossidanti naturali (raggi UVA) o abitudini di vita, quali fumo, alcool, e dieta povera di antiossidanti.
Esistono due forme di maculopatia senile. La forma umida (detta anche essudativa), più rara ma molto aggressiva, oggi trattata con iniezioni intraoculari di farmaci che agiscono contrastando la proliferazione vascolare; la forma secca (detta atrofica), più frequente, ma purtroppo senza cure specifiche.
Gli specialisti oggi possono contare su due nuove procedure per curare la maculopatia secca. Si tratta della “iontoforesi della luteina” e della “fotobiomodulazione maculare”. Vediamo insieme in cosa consistono.
Il ruolo della luteina nella macula
La luteina è una sostanza naturale (un carotenoide) che si trova in alimenti come spinaci, cavoli, mais e uova. È presente nella macula, dove funziona come filtro naturale contro i raggi ultravioletti, e come antiossidante, cioè contrastando lo stress ossidativo che accelera l’invecchiamento della retina.
Con il passare degli anni, i livelli di luteina nella macula si riducono, aumentando la vulnerabilità della retina verso gli agenti dannosi. Non a caso, diversi studi hanno dimostrato che integratori a base di luteina e zeaxantina possono aiutare a rallentare la progressione della maculopatia senile, e tutt’oggi rappresentano gli unici presidi medici che vengono prescritti per la prevenzione della stessa.
Il problema? Assumendo la luteina per bocca, solo una piccola parte arriva effettivamente alla retina. Per questo motivo si è pensato a un modo alternativo per far arrivare una maggior quantità di luteina a livello maculare: la iontoforesi.
La iontoforesi migliora l’assorbimento della luteina
La iontoforesi è una tecnica indolore che sfrutta una debole corrente elettrica per far penetrare farmaci o sostanze naturali attraverso la superficie dell’occhio, portandoli fino agli strati più interni. Utilizzata in oftalmologia per la somministrazione di antibiotici e cortisonici, aveva mostrato buoni risultati e senza effetti collaterali di rilievo.
Per quanto riguarda la luteina, la procedura prevede l’utilizzo di un dispositivo a forma di cilindro che viene applicato sulla cornea. Tale cilindro, viene riempito con una soluzione ad alta concentrazione di luteina, che penetra all’interno dell’occhio attraverso l’erogazione di una corrente elettrica a bassa frequenza.
Gli studi preliminari avevano già dimostrato la persistenza della luteina a livello maculare fino a 6 mesi dal trattamento. Pertanto sono sufficienti un paio di sedute all’anno per garantire a livello retinico una concentrazione efficace della sostanza.
La combinazione di luteina e iontoforesi rappresenta dunque una speranza concreta, anche per curare la maculopatia senile secca, come dovranno dimostrare studi a lungo termine. Certamente i suoi punti di forza sono la semplicità del trattamento e l’assenza di effetti indesiderati.
Fotobiomodulazione nella cura della maculopatia senile
La fotobiomodulazione (PBM) è una tecnica non invasiva che utilizza radiazioni luminose a bassa intensità per stimolare processi biologici cellulari. A differenza di altre sorgenti laser, la PBM non causa danni termici ai tessuti, ma i LED agiscono a livello cellulare attivando i mitocondri, ossia gli organuli deputati alla respirazione della cellula.
Nella maculopatia senile secca, gioca un ruolo chiave nella degenerazione della retina, proprio la disfunzione dei mitocondri. Questa è alla base dell’accumulo di sostanze tossiche che portano alla formazione di piccole placche (denominate drusen). Quando si accumulano a livello della macula, ne alterano la funzione visiva.
Diversi studi clinici hanno dimostrato che la fotobiomodulazione riattiva il motore energetico cellulare, riducendo lo stress ossidativo e proteggendo la vitalità delle cellule visive. Le sedute terapeutiche durano pochi minuti, sono prive di effetti collaterali, ma devono essere eseguite rispettando un rigido protocollo terapeutico.
Una nuova frontiera terapeutica
In un’epoca in cui la medicina guarda sempre più all’innovazione tecnologica per migliorare la qualità della vita, tecniche come la iontoforesi e la fotobiostimolazione retinica si candidano a diventare protagoniste nella lotta contro la maculopatia secca. Non si tratta di soluzioni futuristiche, ma di strumenti concreti già impiegati in ambito clinico, capaci di coniugare efficacia, scarsa invasività e personalizzazione del trattamento. Il futuro della cura della vista, insomma, passa anche da qui: dalla luce e dalla corrente, al servizio della salute degli occhi.

