“Come è ovvio, il lavoro in carcere è una parte essenziale dei programmi di reinserimento“, dice Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione a Buone Notizie. “L’amministrazione penitenziaria lo assicura a circa un terzo dei detenuti, ma si tratta quasi sempre di lavoro poco qualificante, che non dà competenze da spendere sul mercato del lavoro una volta liberi. Questo succede più spesso invece quando i datori di lavoro in carcere sono aziende o cooperative, ma accade troppo poco. Ci sono molti incentivi economici per attirare le imprese in carcere. Il legislatore negli anni ha fatto la sua parte, ma bisogna che i singoli istituti e le realtà imprenditoriali del territorio facciano la loro”.
Un progetto innovativo per l’inserimento lavorativo dei detenuti è Programma 2121. L’iniziativa, che vede collaborare istituzioni e imprese, è stata avviata nel 2018 nel carcere di Bollate a Milano.

Il lavoro dei detenuti in Italia

L’ordinamento penitenziario individua il lavoro in carcere come uno degli elementi del trattamento rieducativo. La legge stabilisce che, salvo casi di impossibilità, al detenuto è assicurata un’occupazione lavorativa.

Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il lavoro carcerario in Italia è cresciuto nel corso degli anni. L’occupazione lavorativa può svolgersi alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e alle dipendenze di soggetti esterni. Spesso però il lavoro carcerario è limitato a periodi brevi, con orari giornalieri ridotti e dedicati al funzionamento interno alla struttura. A fine 2021 il 35% dei detenuti svolgeva un’attività e di questi solo il 13% per datori di lavoro esterni.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

Il rapporto di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, presentato ad aprile 2022 afferma che "diminuiscono i reati in generale, diminuiscono i detenuti in termini assoluti, ma aumenta il numero medio di reati per persona". Al 31 dicembre 2021 solo il 38% dei detenuti presenti nelle carceri italiane era alla prima carcerazione. Il restante 62% in carcere c’era già stato almeno un’altra volta e il 18% cinque o più volte. In Italia quindi è in aumento il tasso di recidiva, che però diminuisce dell’80% nel caso in cui l’ex detenuto ha un lavoro fisso.

Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, ha dichiarato che "la pandemia ci ha mostrato tutti i limiti di un mondo penitenziario bloccato e in ritardo su tante questioni. I tassi di recidiva ci raccontano di un modello che non funziona e che ha bisogno di importanti interventi, aprendosi al mondo esterno, puntando sulle attività lavorative, scolastiche, ricreative". Infatti, da un punto di vista qualitativo, spiega l'associazione, "è estremamente verosimile che un percorso progressivo di costruzione di legami sociali e lavorativi attraverso un'esecuzione penale non interamente intramuraria possa aiutare a allontanare da stili di vita devianti".

Gli effetti positivi del lavoro in carcere

"Il carcere non deve essere la fine della vita, ma l'inizio di qualcosa, di un miglioramento, di rinascita. Il lavoro appunto è ciò su cui puntare, magari accompagnati da corsi di studio o professionali", dice un detenuto nello studio "Valutare l’impatto sociale del lavoro in carcere". Il rapporto è promosso da Fondazione E. Zancan, Compagnia di San Paolo, Fondazione Con Il Sud e Fondazione Cariparo, con il patrocinio del ministero della Giustizia. Lo studio, pubblicato a febbraio, ha approfondito i benefici del lavoro dei detenuti, in termini di vantaggi per loro stessi e per la comunità. Sono stati coinvolti oltre 300 detenuti degli istituti penitenziari di Padova, Siracusa e Torino che lavorano per l’amministrazione penitenziaria, per le cooperative o che non lavorano.

Il rapporto evidenzia che i benefici del lavoro riguardano molti aspetti: il valore economico prodotto, il reddito delle famiglie, l’aumento della fiducia in sé stessi e nel ricominciare una nuova vita. Inoltre, se il 50% dei detenuti fosse impiegato in lavori presso imprese solidaristiche, verrebbe offerto lavoro ad almeno 25mila detenuti e a ulteriori 13mila persone. Infatti, ogni due occupati detenuti serve almeno un’ulteriore unità di lavoro esterna. In questo modo si rafforzerebbe l’indotto economico nei territori dove operano le imprese. Il risparmio di spesa pubblica per le recidive, inoltre, sarebbe di 700 milioni di euro all’anno.

Il lavoro in carcere quindi ha anche dei benefici su tutte le parti coinvolte: detenuti, famiglie e società.

Il Programma 2121, un progetto innovativo per il lavoro in carcere

In questo senso va il progetto innovativo Programma 2121. Quest’iniziativa pubblico-privata è promossa dal ministero della Giustizia e da Lendlease. Lendlease è un operatore del mercato immobiliare e delle infrastrutture con sede a Sidney e progetti in Asia, Europa e America.

I detenuti coinvolti nel Programma 2121 svolgono attività lavorativa al di fuori del carcere nel settore delle costruzioni. Il programma è stato avviato nel 2018 per valorizzare la presenza del carcere di Bollate nelle vicinanze del sito MIND Milano Innovation District. Il MIND è il progetto di iniziativa pubblico-privata per realizzare un distretto scientifico e tecnologico sulle scienze della vita nell’area che nel 2015 ha ospitato l’Expo.

Così l'avvio del Programma 2121 ha trasformato un punto di debolezza del mercato immobiliare, cioè la prossimità di un carcere, in un punto di forza.

Il nome del Programma 2121 deriva dall’articolo dell’ordinamento penitenziario che abilita i detenuti al lavoro extra murario (art. 21) unito alla durata di 3 anni (2018-2021).

Esportare il progetto per un impatto più ampio

A fine 2021, infatti, si è conclusa con successo la prima fase. Il progetto ha contribuito sia al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e delle loro famiglie, sia a formare competenze nel settore delle costruzioni.

I detenuti che hanno partecipato a Programma 2121 hanno un’età tra i 36 e i 45 anni, qualifiche scolastiche medio-alte e competenze in amministrazione d’ufficio, gestione della sicurezza e progettazione. Il primo ciclo triennale ha creato 26 assunzioni con 17 aziende partecipanti.

Il Protocollo d’Intesa siglato dal ministero della Giustizia con diverse aziende vuole replicare l’esperienza di Programma 2121 al di fuori del sistema penitenziario lombardo. In questo modo si avrebbe una scala di impatto superiore in termini di beneficiari coinvolti, di settori industriali interessati e di valore economico e sociale generato.

Condividi su:
Aurora Amendolagine

Aurora Amendolagine

Aurora Amendolagine, laureata in Scienze politiche e Relazioni internazionali con un Master in Comunicazione istituzionale. Lavoro in Rai da diversi anni. Giornalista pubblicista e tutor del laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici