Caporalato “digitale”: è il termine usato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia nella propria Relazione Intermedia 2022, per parlare della “innovativa” forma di sfruttamento dei lavoratori della “GIG Economy”. Come? Attraverso l’utilizzo di algoritmi che gestiscono la manodopera su piattaforma, spesso impiegata “a chiamata” e non regolarmente contrattualizzata.

Caporalato digitale: chi lo subisce?

Secondo la Commissione europea, sono attualmente 28 milioni gli europei che lavorano per 500 diverse piattaforme: 5,5 milioni di loro risultano “liberi professionisti”, ma lavorano di fatto come dipendenti. I più famosi sono i riders, ma ci sono anche gli operai dell’Industria 4.0 che operano nei “cyberphysical workplace”, luoghi di lavoro in cui oltre all’elemento umano, software ed algoritmi sono complementari a macchine, robot, computer, braccialetti o visori di realtà aumentata.

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L’algoritmo e la gestione dei lavoratori digitali

Da dove viene questo sfruttamento 2.0? Nella Relazione intermedia 2022 la Commissione del Senato parla di un pericolo “più profondo” dell’uomo: l’algoritmo e l’intelligenza artificiale alla sua base. Uno strumento senza controllo che lavora su “standard” sui quali tarare le performance dei lavoratori per massimizzarle e dirigere, selezionare, sanzionando addirittura i lavoratori.

Le azioni di Contrasto al caporalato digitale

Non mancano azioni di contrasto piuttosto promettenti. La Commissione del Senato suggerisce la soluzione più semplice: riconoscere l’obbligo di parità del trattamento economico e normativo tra dipendenti del committente e dell’appaltatore che opera su piattaforma. Per farlo occorre una modifica delle norme sulla responsabilità solidale del committente, la richiesta verrà presto dall’UE, come vedremo.

Precari digitali: verso un maggiore controllo pubblico

Un’altra soluzione è il potenziamento dei controlli sull’attività delle cooperative che impiegano lavoratori su piattaforma: ci penserà l’Ispettorato nazionale del Lavoro perché dopo la riforma del DL Fiscale ha visto crescere ruolo, risorse e poteri sanzionatori anche a tutela dei settori più sensibili come quelli della logistica.

Il caso riders: una soluzione normativa emblematica

Una prima soluzione, già sperimentata, viene dalla legislazione sui riders dopo il caso Uber, (L. n. 128/2019) che prevede la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e una retribuzione di base. La pecca? Non garantisce pienamente la situazione occupazionale dei lavoratori su piattaforma. La Spagna ha fatto diversamente: con la Ley 12/2021 ha classificato i riders come lavoratori subordinati.

L’Europa a tutela dei lavoratori digitali

Anche l’Europa ha cercato di regolamentare la Gig Economy in diversi modi: lo ha fatto il 9 dicembre 2021 con un “pacchetto” di soluzioni di riforma complessiva del Lavoro su Piattaforma. In vista una nuova Direttiva che richiede di verificare se la Piattaforma ha i caratteri di “datore di lavoro” attraverso “sistemi di controllo” dei dipendenti. In caso positivo, permetterà a chi vi lavora di godere dei diritti sociali propri dei dipendenti.

Più di recente la DIRETTIVA (UE) TRASPARENZA n.2019/1152 del 20 giugno 201, approvata dal Governo solo il 22 giugno scorso, richiede tutele minime per tutti i lavoratori – inclusi quelli che hanno contratti non standard – e maggiore chiarezza sul rapporto e sulle condizioni di lavoro.

Non mancano poi iniziative di condivisione di esperienze e soluzioni fra Stati Membri: Italia e Spagna il prossimo 9 luglio confronteranno le proprie diverse tecniche ispettive e gli strumenti per la lotta al lavoro sommerso su piattaforma nell’evento “Transnational aspects of platform work” organizzato dal Ministero del Lavoro con ELA (European Labour Authority) e il governo spagnolo.

Come gestire l’algoritmo?

Quello a cui punta l’UE è dunque il controllo sulla gestione algoritmica del lavoro e la trasparenza nell’uso degli stessi algoritmi da parte delle piattaforme di lavoro digitali. Si vuole monitorare il rispetto delle condizioni di lavoro rendendo “pubblici” tutti i parametri che regolano l’algoritmo attraverso una comunicazione formale al lavoratore. In tal modo potrà comprendere come viene giudicato e poter contestare le decisioni automatizzate.

Solo così si potrà smascherare l’algoritmo caporale “pericoloso” e garantire una tutela trasparente dei diritti dei lavoratori su ogni piattaforma.

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Antonio Mazzuca

Antonio Mazzuca

Dal 2007 sono redattore editoriale tecnico-giuridico esperto e formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. Sono il coordinatore editoriale della Testata tecnica InSic.it e dal 2015 editore della testata culturale registrata Gufetto.press dedicata al mondo della cultura off per le quali scrivo news, articoli, recensioni, interviste e approfondimenti e svolgo formazione ai redattori sia per la parte critica che redazionale e per la scrittura in ottica SEO.

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