Risulta in costante aumento il boom delle dimissioni volontarie in Italia. Il periodo post pandemia ha fatto fiorire una presa di coscienza comune mirata a un benessere personale a tutti i costi, mandando, in molti casi, secondo le statistiche, all’aria tutte le proprie sicurezze per tentare condizioni migliori.

Molti sono coloro che ritengono prioritario buttarsi in un cambio vita a discapito di una sicurezza economica che cade in contrasto con la propria salute mentale, cogliendo di sorpresa datori di lavoro e aziende. Ecco come dati e statistiche mettono in risalto una nuova epoca in cui il proprio io si pone, alcune volte, davanti a qualsiasi ben pagata certezza.

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Numeri e cause sul fenomeno dei licenziamenti

In Italia, secondo il rapporto annuale sulle comunicazione obbligatorie del Ministero del lavoro, nel 2022 si registra un aumento delle dimissioni dal proprio impiego del 22% passando da 1,3 milioni del 2021 a 1,6 milioni dell’anno scorso. La fascia di età maggiormente coinvolta nei licenziamenti volontari è quella che va dai 26 ai 35 anni (70%) inquadrando, secondo un’analisi effettuata da AppLavoro.it, una maggioranza di donne (65%), più inclini ad alimentare questa tendenza.

Questa ondata di dimissioni è germogliata proprio agli inizi del 2021 negli Stati Uniti etichettando tale propensione come Great Resignation, un fenomeno recente e ancora in fase di studio che, nel contempo, ha aperto le porte ad alcune riflessioni sulle sue cause.

In pole position vince su tutti la ricerca di lavori in smart working, una modalità ora come ora molto ricercata dalla generazione più giovane di lavoratori in quanto caratterizzata da una comodità che trattiene un po’ il senso di sacrificio dello spostamento casa-lavoro, a favore di una vita magari più comoda e comunque redditizia.

Questo aumento della voglia di flessibilità e indipendenza è confermato dall’aumento di aperture di partite iva nel secondo trimestre del 2021. Inoltre una persona su tre ha lasciato la sua occupazione senza avere un’alternativa azzardando a un importate e speranzoso salto nel vuoto. Una delle motivazioni principali, secondo statistiche rilevate da parte di Indeed, è la ricerca di un lavoro più gratificante dalle condizioni più vantaggiose. Questi disagi sono venuti a galla soprattutto con il ritorno post pandemia al proprio impiego, diventando una piaga sintomo di un malessere generale della nostra era.

Il benessere perseguito dai lavoratori dietro il boom di dimissioni

L’uomo sembra tornare al centro del suo mondo paragonandosi a quel pensiero illuminista in cui l’ottimismo che invita ad una nuova felicità predomina sulla certezza di uno stipendio sicuro che mette in discussione però il proprio benessere mentale. Non a caso, anche nell’epoca dei Lumi, si usciva da un periodo in cui si erano riuscite a sconfiggere alcune malattie: più precisamente nel 1796 fu infatti inventato il vaccino contro il vaiolo che apriva prospettive di speranza e ottimismo. Dopo l’emergenza mondiale del Covid-19 forse anche per la nostra era è arrivato il momento di rivedere le priorità.

Per questo la spinta di dire addio al proprio capo è data da una nuova ricerca di equilibrio tra vita privata e professionale in cui la seconda non deve andare ad intaccare negativamente la prima, ma piuttosto migliorarla. Qui entrano in gioco dinamiche di welfare aziendale in cui rivedere quei modelli organizzativi legati al benessere dei lavoratori, presi in considerazione da un fetta ancora troppo piccola di aziende.

Più manager della felicità, più benessere in azienda

Il boom di licenziamenti sta facendo emergere un disagio all’interno dell’ambiente di lavoro, spesso sempre più incline a spremere piuttosto che ha dare prospettive di crescita stimolanti.

I problemi maggioritari sembrano nascere dai pochi incentivi, dalla bassa valorizzazione, dall’alto numero di obiettivi ripagati da un minor riconoscimento rispetto i risultati, dal lavoro frenetico e dal poco tempo da dedicare alla vita privata.

Alcune aziende, ma ancora troppo poche, comprendendo tali disagi hanno inglobato nel proprio organico figure professionali in grado di prendersi cura e gestire emozionalmente la parte emotiva dei lavoratori, sottovalutata nella maggior parte dei posti di lavoro. Si chiamano Chif Happiness Officer, coloro che si occupano della felicità dei lavoratori, portando a maggiori profitti tramite la cura dei rapporti all’interno dei luoghi di lavoro.

Lo stress da ufficio, è dunque un fenomeno palesemente in crescita da prendere seriamente in considerazione e, laddove le persone cercano di salvarsi da sole togliendosi da posti di lavoro nocivi, forse sarebbe più produttivo prendere in considerazioni soluzioni adatte a questo determinato periodo storico andando incontro ad un disagio generale della nostra società odierna.

Che siano manager della felicità o altre soluzioni, è arrivato il momento che il mondo del lavoro si occupi delle persone dietro i lavoratori, aumentando, in questo modo, sia il benessere dei propri collaboratori che, in contemporanea, della propria azienda, promuovendo uno stato di benessere in cui tutti possono beneficiare dei vantaggi del quale questo moderno modus operandi si fa promotore.

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Laura Corona

Laura Corona

Aspirante giornalista laureata in Lettere. Scrivo di Cultura e Lifestyle collaborando con BuoneNotizie.it, grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista

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