I recenti stravolgimenti del mercato del lavoro, come la Great Resignation americana, il fenomeno del quiet quitting o la diffusione del burnout, hanno fatto sì che un numero sempre maggiore di aziende abbiano sentito la necessità di una figura specifica per prendersi cura dell’unico asset insostituibile: le risorse umane. I dati della Fondazione Studi – Consulenti del Lavoro, in collaborazione con SWG, parlano del 55% dei lavoratori italiani in cerca di una nuova occupazione perché insoddisfatti di quella attuale.

Nel contesto delle possibili risposte al malessere della forza lavoro, nasce la figura del Chief Happiness Officer (CHO), letteralmente “Capo della Felicità”. Il CHO compare per la prima volta attorno agli anni 2000 negli Stati Uniti d’America e finalmente sembra essere arrivato anche in Italia. Il compito del CHO è quello di trasformare le aziende in organizzazioni positive, cioè in ambienti dove le persone possano fiorire, crescere e soprattutto essere felici. Per comprendere meglio chi è il CHO e qual è il suo campo di intervento abbiamo posto alcune domande a un vero CHO: la dottoressa Valeria Di Silvestro.

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Chief Happiness Officer, da figura mitologica a realtà

Spesso, interrogandoci sulle professioni del futuro, si è soliti leggere acronimi incomprensibili e figure lavorative che sembrano essere troppo fantasiose o scollegate dalla realtà quotidiana. Per questo motivo, abbiamo voluto dare la parola a un CHO in carne ed ossa per spiegare le potenzialità della corporate happiness, l’ultima strategia organizzativa aziendale che sembra dare ottimi risultati, riconoscendo un ruolo chiave al benessere dei dipendenti. Valeria Di Silvestro è una delle prime Chief Happiness Officier italiane e lavora per il Gruppo Across, una digital solution company di Torino. Con lei abbiamo voluto esplorare il mondo della felicità aziendale e del suo protettore: il CHO.

Qual è il percorso formativo che si deve sostenere per diventare manager della felicità?

Per diventare CHO in Italia è necessario possedere una certificazione, rilasciata dall’Italian Institute for Positive Organizations, fondato nel 2015 da due manager, Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio. Il percorso di formazione dura 8 settimane, in cui i futuri manager della felicità studieranno come tenere sotto controllo la soddisfazione dei lavoratori,  favorire la loro crescita umana e professionale e porre delle solide basi per un ecosistema-impresa basato sulla meritocrazia e sul gioco di squadra.  

Quali sono i principali compiti e mansioni del CHO?

Favorire benessere, welfare e complicità tra colleghi. Questo significa non solo agire sulla felicità della persona ma anche migliorarne l’atteggiamento mentale, che secondo le neuroscienze risulta essere uno dei 6 driver che ottimizzano le funzionalità del nostro cervello, con grande beneficio della salute e delle performance sul lavoro.

Nella vita quotidiana di una azienda, su cosa agisce il manager della felicità?

Il CHO interviene quindi su elementi molto concreti e delicati, che riguardano lo sviluppo dei lavoratori all’interno dell’azienda, con l’obiettivo duplice di rendere il team più coeso e, allo stesso tempo, più efficace. I compiti di un manager della felicità non vanno solo a vantaggio dei dipendenti, ma anche a favore dell’azienda. Dopotutto non è il successo a generare la felicità, ma la felicità a generare il successo.

In Italia la figura del CHO è arrivata da poco nelle aziende, cosa ha determinato l’arrivo di un “responsabile della felicità” nel posto di lavoro?

Dopo due anni di pandemia i lavoratori cercano con sempre maggiore fermezza un’occupazione più compatibile con le esigenze di vita personale e più appagante sotto il profilo professionale. D’altronde, parlano chiaro: una nuova cultura si sta diffondendo nel mondo dopo la pandemia: quella della felicità.

Perché è importante la felicità sul posto di lavoro e come la si può monitorare e far crescere tra i dipendenti?

Fino a qualche tempo fa il binomio felicità-lavoro sembrava un’utopia. Per molti lo è ancora, ma per diversi fortunatamente le cose stanno cambiando. Sempre più aziende hanno avviato una rivoluzione culturale nello stile di gestione delle persone, consapevoli che il loro successo passa anche per il grado di felicità, soddisfazione e coinvolgimento delle proprie risorse, e non solo per il raggiungimento di specifici obiettivi di profitto.

Abbiamo a disposizione numeri, ricerche e una vasta fonte di contenuti che dimostrano in modo indiscutibile che il modo in cui è organizzata l’attività lavorativa esercita forti ripercussioni sulla felicità di chi lavora e genera motivazione, performance, innovazione e resilienza.

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Chiara Bastianelli

Chiara Bastianelli

Laurea in Economia e Direzione Aziendale. Project manager in una società di consulenza strategica per le imprese. Appassionata di aziende, finanza e letteratura.

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