Hikikomori: con questo termine giapponese, traducibile in “isolamento”, si designa una sindrome che colpisce per lo più gli adolescenti, i quali scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, isolandosi nelle proprie abitazioni e creando un mondo alternativo nel quale sono gli unici protagonisti.

Secondo Ignazio Ardizzone, neuropsichiatra infantile al Policlinico Umberto I di Roma e fondatore del progetto “Isole”, volto al recupero degli Hikikomori, alla base del ritiro sociale vi sarebbe la drammaticità con cui l’adolescente vive la relazione con l’altro, fino a rifuggirne. Affinché questi ragazzi possano tornare a vivere nel mondo devono sentirsi riconosciuti, cioè colti nelle loro capacità e qualità di persone.

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Hikikomori: sindrome raccontata dai dati

Secondo i dati forniti dallo studio ESPAD promosso dal gruppo Abele e pubblicato nel marzo di quest’anno, la maggioranza degli Hikikomori ha tra i 15 e i 19 anni, è introversa e dotata di un’intelligenza superiore alla media; si isola per un periodo che può variare da sei mesi a molti anni, trascorrendo il tempo navigando su internet, dormendo, ascoltando musica. Le uniche interazioni con l’esterno, se ci sono, avvengono tramite chat. In Italia, secondo questo studio, gli Hikikomori sarebbero circa 54.000.

La sindrome Hikikomori, nata in Giappone negli anni Ottanta, si è diffusa ultimamente anche in Occidente, compresa l’Italia. Difficile dire se si tratti di una malattia vera e propria, perché se il Ministero della Salute Giapponese nega che l’Hikikomori sia una patologia, di contro molti medici la ritengono un disturbo psicologico, benché non costituisca ancora una sindrome inserita all’interno del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5).

Quali sono le cause della sindrome

Secondo gli esperti, all’origine dell’isolamento ci sarebbero le alte aspettative riposte dalla famiglia sulle capacità del figlio, la severità del sistema scolastico e l’esclusione dal gruppo dei coetanei. Tuttavia, se tale cornice sembra ben adattarsi alla realtà giapponese, dove il valore del singolo dipende dalla sua produttività ed utilità per la collettività, diverso sembra essere il caso dei giovani italiani, almeno secondo il parere di Ignazio Ardizzone.

L’opinione dell’esperto

Intervistato da KIPJournal, il neuropsichiatra dichiara di considerare il fenomeno Hikikomori una sindrome psico-sociale, ma giudica riduttivo ritenerla legata solo al fallimento in ambito scolastico ed al senso di inadeguatezza verso le aspettative genitoriali; l’accento andrebbe posto, invece, sulla difficoltà della relazione con gli altri. Secondo Ardizzone:

gli Hikikomori perdono il fascino della relazione con l’altro. Non credo, quindi, si tratti solo di un problema di fallimento scolastico o di eccessive aspettative, almeno nella nostra cultura.

Nell’ottica del terapeuta, gli Hikikomori sviluppano una Noosfobia, ossia una paura angosciosa delle intenzioni, dei sentimenti, dei pensieri dell’altro, percepito come malvagio e giudicante; da qui l’adozione da parte del soggetto di tecniche difensive che sfociano nella fobia sociale e nel ritiro, con la creazione di un mondo alternativo, spesso virtuale, dove tramite i device è possibile instaurare relazioni basate su emozioni controllabili perché estranee alle intenzioni altrui. In assenza di cure, gli Hikikomori imboccano la strada verso il non umano, riducendo le persone a “cose”. La terapia concepita da Ardizzone consiste nel ripristinare nell’Hikikomori la capacità e il desiderio di relazionarsi con gli altri, in un reciproco riconoscersi tra persone.

La cura del riconoscimento

Il percorso terapeutico proposto dal neuropsichiatra muove dalla teoria del riconoscimento elaborata dal filosofo Axel Honneth. Nella prospettiva di quest’ultimo, per esserci relazione deve esserci riconoscimento reciproco tra soggetti: solo se si viene riconosciuti dall’altro, cioè accolti e compresi nell’unicità delle proprie qualità di persona, è possibile strutturare la propria identità ed entrare in una relazione. Secondo Honneth, il riconoscimento si esplica attraverso l’amore dei legami affettivi, tramite i diritti giuridici di cui tutti dovrebbero ugualmente godere e mediante la stima sociale.

A proposito della nostra società, il filosofo Umberto Galimberti considera quest’ultima imperniata sul principio del consumo, nonché portatrice di una mentalità nichilista che, ispirandosi ai valori del potere economico, tratta se stessa come qualcosa da buttare via. La domanda che ci si potrebbe porre è se una realtà sociale di questo tipo possa permettere il riconoscimento.

“Isole”, un progetto per aiutare gli Hikikomori

Sulla scorta della teoria di Honneth è nato il progetto “Isole”, volto ad aiutare gli Hikikomori ricostruendo il fascino del rapporto con l’altro. Il progetto prevede l’intervento di terapeuti presso il domicilio del paziente, allo scopo di intraprendere una terapia di gruppo che coinvolga l’intera famiglia.

Secondo Ardizzone, è importante dimostrare al paziente l’esistenza di reti fatte di persone e non di cose, fondate sulla fiducia. Il percorso prevede poi l’affiancamento di un tutor impegnato a lavorare in parallelo alla mente del paziente, cercando di instradarlo verso una terapia individuale, mentre per i pazienti più gravi può rendersi necessario l’ingresso in comunità. Lo scopo è costruire un’alleanza terapeutica, un legame tra menti che si desiderano. La cura, quindi, si configura come un tragitto di coinvolgimento esistenziale ed emotivo, volto al riconoscimento.

 

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Carlotta Mantovani

Carlotta Mantovani

Mi sono laureata in filosofia per cercare di comprendere il fondamento dei fenomeni. Questo interesse si è poi veicolato verso la dimensione morale, portandomi a cercare di analizzare le questioni inerenti la società e le nuove tecnologie. Vorrei fornire un’informazione capace di abbracciare questi temi prospettando anche soluzioni alla complessità della realtà. Da qui la scelta del giornalismo costruttivo. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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