Una percentuale crescente di bambini e adolescenti non ama intrattenere relazioni, nemmeno con i propri pari, e si isola socialmente. Tendono a sentirsi inadeguati, hanno scarsa autostima e distorsioni cognitive.
L’allarme arriva dagli Stati Uniti, dove si calcola che siano il 50% degli adulti e il fenomeno aumenta nei bambini. Nel rapporto reso pubblico qualche giorno fa, La nostra epidemia di solitudine e isolamento 2023, presentato da Vivek Murthy, responsabile del Servizio sanitario nazionale degli Stati Uniti. Nel rapporto vengono indicate le possibili soluzioni su come prevenire questo fenomeno che causa malattie cardiache, infarti, demenza e morte prematura.

Chi soffre di isolamento sociale?

Il fenomeno dell’isolamento sociale si riscontra anche in Italia. La diagnosi per gli adulti è spesso legata a fenomeni depressivi. Per quanto riguarda i bambini, si possono reperire dei dati quando si trovano in uno stadio avanzato e accedono al Servizio sanitario nazionale altrimenti non si hanno dati precisi e spesso, quelli utilizzati, sono frutto di elaborazioni incrociate con altre statistiche. La difficoltà nel reperire dati sta nel fatto che il bambino o l’adolescente che tende ad isolarsi, sparisce.

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Nel libro Adolescenti che non escono di casa di Vicari e Pontillo che fanno parte dell’Unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù, leggiamo quanto segue: “…il ritiro sociale esisteva anche prima della fase pandemica… l’isolamento forzato, la didattica a distanza, le attività extrascolastiche assenti o limitate, la trasformazione delle abitudini e delle modalità di relazionarsi con gli amici, hanno ridisegnato la sfera emotiva dei ragazzi alimentando molto probabilmente le loro già presenti ansie e preoccupazioni e facendo emergere ancora di più la vulnerabilità e le fragilità.”

Percentuale richieste di assistenza

Percentuale richieste di assistenza all’Unità operativa di neuropsichiatria infanzia e adolescenza dell’ospedale Bambin Gesù – Fonte: UON Bambin Gesù

Prima della pandemia Covid, questo fenomeno era sottovaluto e passava inosservato.
Non è stata accertata una stretta relazione con le nuove tecnologie e con i social network in particolare, sebbene chi tende ad isolarsi evita il contatto fisico e predilige le relazioni a distanza perché si sente a proprio agio. L’impegno online è, infatti, limitato al testo scritto, permette l’anonimato e le risposte possono essere fornite in modo asincrono.

Isolamento sociale e Hikikomori

L’associazione Hikikomori Italia si occupa di sensibilizzare le istituzioni al fine di ottenere maggiori diritti e servizi, organizza gruppi di mutuo aiuto e supporta i genitori. Il fenomeno Hikikomori è stato identificato negli anni ‘80 per la prima volta in Giappone ed è stato classificato come un disturbo legato alla cultura giapponese. Il termine significa mettersi da parte e individua una parte dei soggetti affetti dal complessivo disturbo di isolamento sociale.

L’Associazione registra il fenomeno hikikomori distinguendo per età e per stadio di evoluzione del disturbo. In sostanza, prende in considerazione l’età compresa tra 11 e 40 anni e la fascia over 40 che non escono di casa da almeno sei mesi. In questo calcolo sono presi in considerazione i bambini che non escono nemmeno per andare a scuola.

I dati registrati dal Bambin Gesù, indicati in precedenza, dimostrano come i disturbi che portano all’isolamento sociale si riscontrano anche nella fascia di età dai 6 agli 11 anni. Ad aprile 2023, l’associazione Hikikomori stima tra i 100mila e i 200mila casi di isolamento sociale volontario. Se comprendiamo anche i bambini di età compresa tra 6 e 11 anni che hanno difficoltà a interagire con gli altri e hanno paura ad allontanarsi dai genitori, il calcolo è sottostimato.

Come si può prevenire e quali sono le soluzioni?

Tra i 6 e gli 11 anni di età, un bambino tende a trascorrere del tempo con almeno un amico. Se questo non avviene e la tendenza è rimanere chiuso in casa, ciò rappresenta un primo sintomo. Da non confondere con la timidezza che, di per sé, non costituisce un sintomo, ma può essere motivo di svalutazione da parte dei compagni. Un bambino timido può essere oggetto di scherno e di fenomeni di bullismo che generano pensieri di inadeguatezza che stimolano poi il bisogno di isolarsi.
Il lockdown legato alla pandemia Covid ha accentuato questo fenomeno rendendolo riconoscibile anche in Italia. Il bambino, in questo periodo di chiusura forzata, ha avuto conferma che il mondo esterno rappresenta un pericolo. Questo è uno dei pensieri che accentuano l’isolamento sociale.

I ragazzi possono nutrire delle passioni che non sentono di poter condividere con i coetanei per paura di essere presi in giro. Nel loro spazio possono approfondire gli interessi semplicemente iscrivendosi ad un canale YouTube.
Proprio il punto 4 del rapporto del Servizio sanitario nazionale statunitense individua una soluzione nel ripensare gli ambienti digitali in modo che non pregiudichino la relazione personale con gli altri.

 

Un intervento specifico è la terapia psicologica con l’approccio cognitivo-comportamentale che interviene sul riconoscimento dei pensieri disturbanti e con il giusto supporto riesce a modificarli sostituendoli con rappresentazioni più attinenti alla realtà. In questo modo cambiano le emozioni e di conseguenza, i comportamenti.
L’intervento su più fronti stimola il bambino a mantenere le relazioni sociali. Iniziative come i giochi da tavolo promossi dalla Fondazione G. e D. De Marchi o quelle dell’Istituto ReTe, possono costituire uno stimolo alle relazioni.

La prevenzione dell’isolamento sociale secondo il SSN statunitense

Il report statunitense individua i seguenti punti come possibili soluzioni al fenomeno dell’isolamento sociale:

  1. Rafforzare l’infrastruttura sociale: dalla presenza di spazi pubblici, alle strutture dove poter intrattenere relazioni;
  2. Politiche pubbliche a favore della relazione: dal miglioramento dei trasporti al congedo retribuito;
  3. Mobilitare il settore sanitario: riconoscere i pazienti a rischio solitudine e stabilire un protocollo di intervento;
  4. Riformare gli ambienti digitali: fare in modo che i due ambienti si integrino e l’online non sostituisca il sociale;
  5. Approfondire le conoscenze: mettere in atto un programma di ricerca che individui le cause, verifichi le conseguenze e l’efficacia degli interventi che aumentano le relazioni sociali;
  6. Coltivare una cultura della relazione: insegnare e diffondere la cultura della relazione e la sua importanza.

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Francesco Ravenda

Francesco Ravenda

Francesco Ravenda, informatico. Appassionato di gestione aziendale e di podcast, attento alle dinamiche sociali, mi piace informare, raccontando. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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