Secondo l’Eurostat, i giovani italiani dai 15 ai 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi formativi ammontano a 1,6 milioni. I dati rivelano che i cosiddetti Neet in Italia – “Not in education, employment or training”, “non (attivi) in istruzione, lavoro o formazione” – sono il 19%.

Per tentare di venire a capo di questa situazione, però, è necessario leggere questi dati sotto un’ottica diversa da come si è soliti fare: ovvero come stimolo per riprendere del capitale umano sprecato.

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Neet in Italia, un’utile occasione per riflettere a fondo

Sarebbe utile cogliere al volo questa occasione del fenomeno dei Neet in Italia, per riflettere sulla reale efficacia del nostro sistema scolastico, in riferimento all’età del termine degli studi e a quella di ingresso nel mondo del lavoro.

Aspetto a cui è strettamente connesso un ulteriore problema, anch’esso di fondamentale importanza. E cioè alle reali possibilità che il mondo dell’imprenditoria ha di assumere giovani, in presenza di una imposizione fiscale tra le più alte al mondo.

Se non si riesce a creare una simmetria tra imprenditoria e carico fiscale, infatti, è davvero difficile che possano crearsi degli spazi di inserimento per i giovani. Il rapporto Taxing Wages 2023 diffuso dall’Ocse riporta che l’Italia presenta un cuneo fiscale tra i più alti al mondo (45,9%) posizionanosi al 5° posto in Europa, a fronte di una media europea del 34,6%. Con una quota di oneri contributivi a carico del datore di lavoro seconda soltanto alla Francia.

Le percentuali fornite dall’Eurostat riguardo i Neet in Italia obbligano ad una riflessione soprattutto se si confrontano con quelle degli altri Paesi dell’Ue. Il tasso dei Neet, per quel che attiene i giovani uomini del nostro Paese, risulta essere il peggiore dei ventisette Stati dell’area Ue, davanti a Romania (14,5%) e Grecia (14,1%). Di poco migliore è invece quello riguardante le giovani donne: soltanto la Romania (25,4%) presenta una percentuale peggiore.

L’autonomia dei giovani e il sistema scolastico

Questi dati vanno affiancati ad altri assai indicativi. Secondo Openpolis, l’età in cui i giovani in Italia lasciano il nucleo familiare d’origine si attesta sopra i 30 anni (30,2 nel 2020), a fronte di una media europea di 26,4 anni.

È evidente la presenza nel nostro Paese di più di qualche cortocircuito; ad iniziare dal nostro sistema scolastico superiore ed universitario. In buona parte degli Stati europei occidentali – rileva Eurydice, nel suo ultimo rapporto sulle “Strutture dei sistemi educativi europei” – la formazione secondaria dura quattro anni e il diploma si consegue mediamente a 18 anni, e a volte anche a 17.

Diplomarsi presto consente di concludere il ciclo superiore e universitario in giovane età, e trovare quanto prima un’occupazione. In tal modo si contribuirebbe ad aggredire il fenomeno “Neet” in Italia alla radice.

Senza contare che in diversi paesi dell’Ue, la conclusione del primo ciclo universitario (Bachelor Degree o laurea triennale) consente di affacciarsi al mondo del lavoro con professionalità e competenza e di trovare un impiego. Aspetto, invece, che qui in Italia vale solo in minima parte, essendo sopravanzata l’idea – anche culturale – che la laurea triennale sia una “laurea di serie b”.

Neet in Italia, una sfida da vincere per conquistare il futuro.

Giovani uomini per le strade della città

I Neet in Italia alle prese con un mondo del lavoro ingessato

Ma è evidente che parlare di scuola senza minimamente approcciare la tematica del lavoro, sia cosa assolutamente controproducente. Eppure, è proprio tale aspetto che in questi decenni sembra essere mancato nel nostro Paese.

Quante volte abbiamo ascoltato le lamentele di imprenditori e responsabili delle risorse umane, riguardo le mancanze del sistema universitario italiano sul fronte del lavoro? Quante volte si è detto e ridetto che le nostre Università sembrano vivere una vita quasi “disincarnata” dalle esigenze del Paese?

D’altra parte, tuttavia, è altrettanto evidente che in Italia vi sia un problema a tutti noto concernente l’alta tassazione sui redditi da lavoro, come emerge dai dati dell’Ocse citati in precedenza. L’imprenditore medio si trova spesso a non essere in grado di pagare degli stipendi che consentano una vita quantomeno “tranquilla”, non solo perché il lavoratore gli costa troppo in generale, ma anche perché quasi sempre è costretto a formarlo a sue spese.

Quando sono i problemi a suggerire le soluzioni

Si potrebbe immaginare di invertire la tendenza del fenomeno dei Neet in Italia solamente se si iniziasse a trattare con serietà questi due capitoli fondamentali della vita del nostro Paese. Ridurre di un anno il ciclo superiore e ricalibrare il sistema universitario ponendo attenzione alle esigenze lavorative, probabilmente permetterebbe di restituire una diversa valenza anche alle lauree triennali. Ma soprattutto alleggerirebbe gli imprenditori di spendere in formazione.

Per quanto riguarda il fisco, è vero che in un’economia sana e solida l’imposizione fiscale si avverte meno, però è altrettanto vero che il legislatore saggio ha in vista i momenti negativi, ed è in previsione di quelli che immagina e costruisce un sistema fiscale in grado di non fungere da “zavorra” – è il termine utilizzato da Confartigianato nel suo 16° Rapporto annuale – per il mondo produttivo.

Immaginare un futuro a medio-lungo termine senza prima aver risolto questi handicap è assolutamente controproducente. Occorre ricordare che l’Eurostat ci consegna questa triste realtà dei Neet in Italia, in ragione del fatto che le soluzioni-tampone utilizzate nel corso degli anni non sono bastate ad invertire il trend.

L’aspetto su cui l’Italia deve scommettere sta in nuovo atteggiamento che deve imporsi nella mentalità comune, e che consiste nel saper cogliere il dato nella sua problematicità, tentare di rispondere alle sfide che pone e avere la capacità politica di intervenire quanto prima.

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Diego B. Panetta

Diego B. Panetta

Giurista con specializzazioni in campo notarile, societario e canonistico. Accanto alle norme, una grande passione per la retta filosofia, senza la quale codici e leggi possono ben poco. Autore di tre libri, collabora inoltre con riviste specializzate e testate online, tra cui BuoneNotizie.it.

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