La teoria e la pratica dell’agricoltura rigenerativa stanno diventando sempre più popolari grazie alla crescente attenzione verso una produzione alimentare rispettosa dell’ambiente da parte dei consumatori. Alla base di questo metodo, infatti, il lavoro delle persone deve adattarsi armonicamente e attivamente all’equilibrio della natura, invece di sfruttarla. Si tratta, anzi, proprio di restituire la fertilità ai terreni, spesso devastati da pratiche di agricoltura intensiva.

I danni dell’agricoltura intensiva

L’agricoltura intensiva, specialmente quella basata su monoculture su larga scala, è uno dei modi in cui l’uomo può modificare, depauperare o addirittura distruggere l’ambiente naturale, causando sottrazione di terreno fertile per la vegetazione spontanea e il cambiamento o la contaminazione degli ecosistemi. Questa pratica radicale e di lunga durata rende il terreno più arido, demineralizzato, impregnato di pesticidi e non adatto alle specie selvatiche che un tempo crescevano rigogliose.

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Questo processo ha avuto un enorme impatto sulla biodiversità, in particolare sugli insetti e altri piccoli invertebrati. Secondo uno studio pubblicato dalla Biological Conservation Organization, circa il 40% degli insetti è a rischio di estinzione nei prossimi decenni tra cui il 9% delle api e delle farfalle impollinatrici in Europa, come dimostrato dal rapporto “Piante e insetti impollinatori: Alleanza per la biodiversità” dell’Istituto avanzato di protezione e ricerca ambientale (ISPRA).

L’intervento dell’agricoltura rigenerativa

In risposta alle conseguenze di decenni di processi intensivi, agricoltori e aziende hanno lavorato per molti anni per ripristinare la terra che è stata impoverita e distrutta da pratiche agricole non sostenibili. Una delle strategie più diffuse e apprezzate è la cosiddetta “agricoltura rigenerativa”, un insieme di approcci e interventi che coniugano il sapere della tradizione con le moderne conoscenze scientifiche per ricostruire, imitando i processi naturali, la vitalità del terreno, per garantire la purezza dell’acqua nelle falde acquifere o abbattere l’uso di pesticidi. Altri benefici ottenuti tramite l’adozione di questa pratica possono essere la diminuzione dell’erosione dei terreni e la loro rimineralizzazione, il ripristino della biodiversità e la riduzione dei gas serra che contribuisce tra l’altro alla prevenzione e alla riduzione del riscaldamento globale.

L’agricoltura rigenerativa è una pratica olistica di gestione del territorio che sfrutta il potere della fotosintesi nelle piante per chiudere il ciclo del carbonio e costruire la salute del suolo, la resilienza delle colture e la densità dei nutrienti – specifica l’organizzazione Regeneration International, che da anni promuove tale pratica agricola – L’agricoltura rigenerativa migliora la salute del suolo, principalmente attraverso le pratiche che aumentano la materia organica del suolo. Ciò non solo aiuta ad aumentare la diversità e la salute del biota del suolo, ma aumenta la biodiversità sia sopra che sotto la superficie del suolo, aumentando sia la capacità di ritenzione idrica che il sequestro del carbonio a maggiori profondità, riducendo così i livelli dannosi per il clima di CO2 atmosferica e migliorando il suolo struttura per invertire la perdita di suolo causata dall’uomo che minaccia la civiltà.

L’influenza dell’agricoltura rigenerativa sul mondo della moda

Negli ultimi anni sono molti i brand di moda che si sono resi conto che, per ridurre le emissioni di gas serra, bisogna ripensare le tecniche di coltivazione. Per questo molti marchi hanno deciso che il futuro delle fibre naturali dovesse venire dall’agricoltura rigenerativa. Il primo a parlarne è stato il gruppo Kering, proprietario di numerosi marchi tra cui Gucci e Saint Laurent, che è il co-fondatore del Nature Regeneration Fund, che mira a convertire 1 milione di ettari di terreno utilizzato per produrre materie prime di moda da normali terreni agricoli ad agricoltura rigenerativa entro cinque anni.

The North Face, grazie alla collaborazione con Fibershed, un’organizzazione californiana no profit che dal 2010 sviluppa progetti di agricoltura rigenerativa, ha dato via al progetto Blackyard, una linea di felpe prodotte utilizzando lana proveniente da pecore cresciute in California, con filato realizzato in North Carolina e il capo prodotto in New Jersey.

Il marchio Patagonia, invece, ha scelto di collaborare con dei produttori indiani per ottenere del cotone rigenerativo. Sono ben 150, secondo il sito del brand, le fattorie in India che stanno sperimentando l’agricoltura rigenerativa.

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Giovanni Binda

Giovanni Binda

Giovanni Binda, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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