Secondo i dati raccolti dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, in Italia produciamo ogni anno 663mila tonnellate di rifiuti tessili. Questi comprendono abiti vecchi, lenzuola, coperte, asciugamani e tutto ciò che è realizzato in tessuto e che non utilizziamo più. Dal primo gennaio 2022 è scattato l’obbligo di raccolta differenziata dei beni tessili dismessi, come previsto dal decreto legislativo n.116 del 2020; ma è sorto un ostacolo mai considerato prima d’ora. Gli impianti di riciclo dei tessuti sono molto pochi nel nostro Paese per sperare di contenere la raccolta e lo smaltimento di centinaia di tonnellate di tessile consumato e buttato via.

Il decreto per il riciclo tessile in Italia

L’Italia ha anticipato di tre anni l’attuazione del decreto previsto dal pacchetto di direttive sull’economia circolare adottato dall’Unione europea nel 2018. Da un lato l’attuazione della legge per lo smaltimento del tessile si pone come obiettivo la chiusura e la dismissione delle discariche pericolose per l’ambiente. D’altro canto però il Ministero della Transizione Ecologica, con la fretta di attuare le regole chiave per il corretto riciclo del tessile, non è riuscito a definire il decreto stesso. Non esistono, a oggi, vere e proprie linee guida chiare allo scopo di smaltire adeguatamente il tessile: né per i privati, né per le aziende.

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In quest’ottica sarà difficile tenere fede alla scadenza che prevede la chiusura di tutte le discariche entro il 2025. Secondo la Commissione e il Parlamento Ue, il settore tessile è responsabile del 10% (654 chilogrammi di CO2 all’anno per persona) delle emissioni di gas a effetto serra in tutto il mondo.

I Comuni che non hanno ancora un sistema di raccolta del tessile, costituito anche soltanto da campane di raccolta, saranno obbligati ad avviarlo. Bisogna poi incrementare i punti in cui conferire i rifiuti per facilitare i cittadini. In questo modo si deciderebbe la destinazione finale delle materie tessili: bisogna impedire che arrivino in discarica o vengano incenerite. Per esempio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede finanziamenti per la creazione di textile hubs. Prato sarà la promotrice iniziale. È bene aumentare quanto raccogliamo e differenziamo, diminuendo la parte che finisce nell’indifferenziato.

Dove finiscono i rifiuti tessili buttati via?

Una volta raccolti dagli appositi cassonetti, chiamati gestori ambientali, i rifiuti tessili passano sotto la responsabilità sinergica dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) e CONAU (Associazione Nazionale Abiti e Accessori Usati). Queste associazioni rappresentano il mondo delle imprese  attive nel settore della della raccolta commercializzazione e lavorazione dei rifiuti tessili.

Il riciclo tessile in Italia ha più destinazioni: il tessuto dismesso e rigenerato diventerà pezzame ad uso industriale, isolante acustico o termico o materiale d’esportazione. Proprio a Prato è nata l’ASTRI (Associazione Tessile Riciclato Italiano) che ha come scopo principale la tutela del riciclato tessile. Sempre secondo i dati forniti dall’Ispra, il 68% dei rifiuti tessili urbani italiani è destinato al riutilizzo e solo il 3% deve essere smaltito attraverso una raccolta indifferenziata. Una percentuale non indifferente, ma per fortuna in diminuzione.

Il riciclo tessile in Italia secondo il PNRR

Il settore tessile è tra i più impattanti per l’ambiente come abbiamo riscontrato dai dati, è fondamentale inserirvi un piano di riciclo che vada a compensare l’enorme abuso e lo scorretto smaltimento dei tessuti dismessi. Con l’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata al 100% delle potenzialità, si teme l’immissione di una maggiore quantità di rifiuti sul mercato che ne causerebbero squilibri e un contestuale abbassamento della qualità del tessile in commercio.

Qualcuno ha già chiesto una proroga del decreto al fine di limitarsi, nella fase iniziale, al solo smaltimento di abiti usati, in attesa che l’Europa definisca una valida strategia sull’economia circolare del tessile. La richiesta non sembra avere avuto buon esito. Per questo è fondamentale andare avanti alla ricerca di nuove sistemi di smaltimento di rifiuti tessili. In ottica collaborativa, mettendo insieme testa, volontà, disponibilità economica e ponendosi un obiettivo comune si può arrivare lontano; è qui che interviene il PNRR.

Il Piano, infatti, è l’occasione perfetta per accelerare la transizione ecologica di imprese e aziende, puntando sulla loro efficiente e sostenibile gestione dei rifiuti e sul consolidamento di infrastrutture utili alla raccolta differenziata attraverso investimenti cospicui. La strategia di gestione prevede l’EPR (Responsabilità Estesa del Produttore) nel campo del tessile. Già attiva nel settore degli imballaggi, questa condizione punta all’educare le industrie ad un’economia circolare a partire dalle scelte della materia prima, lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, fino allo smaltimento e conseguente riciclo o riadattamento dello stesso. La responsabilità è tutta al produttore che si accerterà che la propria merce non danneggi l’ambiente. Il produttore deve concepire il prodotto in ottica di “recycling and reusability by design.

Non solo textile hubs e PNRR per il riciclo tessile

Anche nel campo dell’innovazione qualcosa si sta muovendo per quanto riguarda il riciclo. Investire nelle tecnologie di smaltimento del tessile garantirebbe di gestire e riciclare fino all’80% di questo bene. I ricercatori europei hanno progettato e costruito a Maribor, in Slovenia, un nuovo impianto nell’ambito del progetto “Resyntex“. Tre reattori convertono gli indumenti usati in materie prime secondarie prive di combustibili fossili. I vestiti in genere sono molto lavorati, presentano percentuali di metalli, plastiche e tinte fatte da prodotti chimici. I tessuti come lana, cotone, poliestere vengono classificati e vanno incontro a processi specifici come lo sbiancamento, la depolimerizzazione biochimica o il trattamento a base di idrolisi.

Dal poliestere i ricercatori sono stati in grado di sintetizzare degli acidi utilizzati per riprodurre plastica. Un altro esempio è la lana: da questa si estraggono proteine che possono essere utilizzate come resine nei pannelli di legno.

Il compito della ricerca di laboratorio è migliorare il processo di riciclaggio attraverso lo studio di miscele biochimiche e variazione di pressione e temperatura. Questo lavoro aiuta a formulare le migliori ricette per produrre il risultato migliore.

Prendere esempio oltreoceano: la proposta di legge newyorkese

Il 7 gennaio la senatrice Biaggi e la deputata Kelles hanno presentato a New York il disegno di legge “Fashion sustainability and social accountability act” con il sostegno di organizzazioni no profit che operano per la moda e la sostenibilità. La normativa chiede alle aziende di mappare almeno il 50% della catena di raccolta di materie prime. Dovrebbero anche segnalare le problematiche più gravi in fatto di emissioni e impatto ambientale e sociale per quanto riguarda la produzione. Una volta resi pubblici i numeri e i dati sulla quantità di manufatto immesso nel mercato si dovrà intervenire in conformità con gli obiettivi degli accordi sul clima di Parigi.

Se questa proposta di legge entrasse in vigore sarebbe applicata solo alle grandi imprese con più di 100 milioni di dollari di fatturato. In Europa ci stiamo approcciando allo stesso sistema ed entro il primo trimestre del 2022, la commissione europea pubblicherà la “Sustainable products initiative. Gli obiettivi  renderanno la catena di approvvigionamento delle materie prime più trasparente e sostenibile sotto la responsabilità del produttore. La SPI è part del CEAP (Circular Economy Action Plan), elemento principale del Green Deal europeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Flavia Santilli

Flavia Santilli

Studio presso l'Università degli Studi de L'Aquila. Ho collaborato con diverse testate. Sportiva agonista e istruttrice di nuoto. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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