La guerra in Ucraina ha risvegliato l’Europa dal pensare che la guerra fosse un’esperienza lontana dai suoi confini. Ognuno di noi ha percepito la difficoltà nel dialogo fra potenze, l’importanza nel raggiungere la pace in tempi brevi e le conseguenze della distruzione. Nel mondo sono 22 le guerre ad alta intensità attualmente in atto, molte delle quali sembrano essere dimenticate.

Una guerra non solo comporta la distruzione di una realtà, ma anche l’esodo di migliaia di persone, da cui si capillarizzano conseguenze catastrofiche.  In mezzo a questa serie di consapevolezze una buona notizia giunge dall’Etiopia: fra Addis Abeba e la regione autonoma del Tigrai, si è dato avvio ad una serie di incontri che potrebbero portare alla pace, dopo 18 mesi di guerra.

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La guerra arriva dove non c’è interesse

Il Norwegian Refugee Council ha stilato un elenco aggiornato sulle guerre dimenticate nel mondo. Spesso i Paesi che rimangono coinvolti in una guerra, senza ricevere aiuti, sono realtà di scarso interesse geopolitico.

Il caso dell’Etiopia, analizzato nel libro Le ultime carovane del sale, in viaggio fra guerriglieri, cantieri e litanie, mostra quanto l’Etiopia sia rimasta isolata. Kiros Sltan guida turistica etiope, scampato alla guerra, ha raccontato in un’intervista lo sviluppo di questa sanguinosa guerra dimenticata. 

“La situazione è ancora ingestibile – ha raccontato Kiros – le motivazioni per cui questa guerra ha avuto inizio sono state economiche. Una grande spinta l’ha data l’assenza di turisti causata dalla pandemia. Questo ha creato minori introiti economici e ha inasprito le relazioni, già precarie,  fra il Tigrai e il governo di Addis Abeba”. 

La guerra civile ha creato una diaspora di esuli che continuano a migrare nei vicini Kenya e Sudan o si riversano nella periferia di Addis Abeba. Questo ha incrementato la fame, il diffondersi di malattie e un’inarrestabile criminalità. Addis Abeba è diventata la casa di centinaia di persone pronte a cercare fortuna nella capitale, inserendosi però in un sistema già al collasso. La pace è stata lontana per mesi. La disinformazione ha adombrato ancora di più gli esiti dell’evoluzione della guerra.

L’economia e le proposte di pace

I risultati della guerra sono stati terribili: Human Rights Watch calcola che 9 milioni di persone siano oggi ridotte alla fame e si arrivi ai 2 milioni di sfollati, molti dei quali non sono neppure censiti.

In una recente intervista online, Kiros ha dato una buona notizia: si sta aprendo il dialogo fra il primo ministro etiope Abiy Ahmed e i rappresentanti dello stato del Tigrai, per una potenziale pace. 

“Raggiungere un accordo e la pace – ha detto Kiros – sono ancora degli obiettivi lontani. Addis Abeba però, ha compreso che per il bene del Paese e anche delle transizioni economiche dovute al passaggio della Belt Road Initiative Cinese (la Via della Seta Africana che collega i due oceani) il dialogo con il Tigrai è necessario.  Si respira la promessa della fine di questa guerra civile, che ha completamente cambiato il mio Paese”.

Dove non c’è informazione la guerra si dimentica e nessuno si occupa della pace 

Per ottenere la pace e il dialogo fra i leader coinvolti, il processo è lento. Spesso sono stati intermediari a farsi carico della mediazione. Nel caso dell’Etiopia e di altre realtà dimenticate, questo non è possibile.  Abbiamo capito in questi mesi di guerra alle porte dell’Europa, quanto sia importante l’informazione e l’educazione: esse sono le basi per non dimenticare. Dove c’è informazione c’è consapevolezza per raggiungere accordi di pace. 

“Il mondo deve sapere – ha aggiunto Kiros nella sua intervista – l’Etiopia è stata dimenticata, ma se la notizia di una guerra arriva all’orecchio delle persone, allora queste porteranno l’attenzione di tutti sul problema. Una guerra non crea solo la distruzione di una città, ma crea traumi, fame e povertà. 

La vera pace per la risoluzione di una guerra è l’informazione. Ognuno di noi deve essere a conoscenza di ciò che accade nel mondo, in modo da creare un passaparola che diventi la nuova risposta alla guerra e avvicini i governi alla pace.”

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Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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