In Francia è d’interesse nazionale, negli USA è l’esperienza museale più richiesta. La mostra immersiva è una nuova e promettente industria culturale.

L’esperienza museale oggi più apprezzata, in nome della cultura, è la cosiddetta ‘mostra immersiva’. Una tipologia di mostra virtuale sempre più richiesta dal pubblico e sempre più in programmazione nei musei. Instagrammata da molti utenti, la mostra immersiva ha un appeal tutto social. Vede infatti spesso tra i visitatori speciali – o tra gli ospiti di inaugurazione – influencer e volti noti del web.

Ma di cosa si tratta? Tralasciando i tecnicismi, non è altro che la proiezione di opere d’arte di artisti noti del passato su pareti, soffitti e pavimenti delle sale museali. Il tutto accompagnato da una narrazione audio o da musiche abbinate. L’effetto è una vera e propria immersione nell’arte, un’esperienza mozzafiato e ad alto tasso di emozioni.

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Nonostante il successo, alcuni critici d’arte la commentano in modo negativo definendola come “uno show con poca arte”. Tuttavia la mostra immersiva garantisce profitto al sistema museale. Per l’appunto, sono in corso 50 spettacoli su Van Gogh distribuiti in 27 Stati degli USA a prezzi esorbitanti. In Europa, la produzione belga Exibithion Hub ha richiamato circa un milione di visitatori con sole tre mostre e in Asia, la giapponese Team Lab, tra il 2018 e il 2019, 3,5 milioni di spettatori.

Arte vs Intrattenimento

Ma vediamo di mettere i puntini sulle i. Innanzitutto, la mostra immersiva non è da confondere con l’arte immersiva. Quest’ultima, a differenza del fenomeno, è un linguaggio artistico riconosciuto che consiste in algoritmi di apprendimento automatico capaci di creare data painting (pitture composte da dati) e sculture digitali. Un linguaggio artistico inglobato nella corrente ideologica chiamata ‘umanesimo digitale’ che vede come massimo esponente il new media artist Refik Anadol.

Nessuna sperimentazione invece per le mostre immersive. Nessun approccio scientifico/creativo. Nessuna collaborazione con architetti, designer, analisti e ricercatori provenienti da tutto il mondo, come avviene per le opere del giovane artista di origine turca.  Le esperienze museali immersive sono mostre-spettacolo in cui si punta sulla rilettura dei miti dell’arte piuttosto che su nuove creazioni artistiche. Quali sono quindi i vantaggi e gli svantaggi di questo nuovo modo di concepire l’esperienza museale?

Mostra immersiva: sì

Dal 6 gennaio 2021 la Francia riconosce come “affare di stato” la mostra immersiva. Questo per la nascita del Grand Palais Immersif: la nuova filiale dedita alle esperienze d’arte virtuale di Réunion des Musées Nationaux et du Grand Palais, società pubblica gestrice di 34 musei francesi tra i quali Louvre, d’Orsay e Rodin. La decisione è nata dal successo della mostra immersiva Mona Lisa: Beyond the Glass presso il Louvre. Un anno fa infatti la retrospettiva virtuale – volta a festeggiare il 500esimo anniversario dalla morte del genio italiano – ha avuto l’occasione di essere prodotta da Vive Arts, il programma globale multimilionario per la promozione dell’arte digitale. La fama della produzione non ha mancato le sue promesse nel fatturato dell’evento e questo, specialmente in periodo Covid, è un dato positivo.

Ma perché è così affascinante agli occhi del pubblico? Partorita nell’ultimo decennio, questo tipo di mostra tende ad azzerare il limes osservatore/opera d’arte che tanto ha caratterizzato i secoli precedenti. Il pubblico, immerso in essa, è dunque parte dell’opera e non spettatore passivo.

Mostra immersiva: no

Come ogni rivoluzione in fase di rodaggio, anche questa richiede attenzioni per non rischiare di essere l’ennesimo esempio del “mezzo che supera il fine” o un ulteriore spinta verso la cultura di massa. Secondo gli esperti dunque sarebbe più opportuno mettere in risalto il potenziale didattico di queste mostre. Con l’ausilio dello storytelling e delle tecniche documentarie, infatti, potrebbero diventare strumento prezioso per la didattica dell’arte, per i ricercatori o per le scuole. Potenzialità ritenute “il futuro delle esposizioni“.

Un’occasione infine per avvicinare il mondo digitale con la storia dell’arte, binomio ancora poco promosso, puntando sulla partecipazione degli addetti al settore piuttosto che su volti noti del web solo per garantire l’audience.

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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