Cascine, masserie, case cantoniere, casali del Novecento e Ville Liberty. Questi sono solo alcuni degli edifici storici che compongono il vastissimo patrimonio culturale italiano detto “minore”. Patrimonio non inflazionato dal turismo di massa e perciò poco valorizzato e tutelato. Fin dalla loro costruzione, questi beni danno corpo e caratterizzano l’intera Penisola, definendone il paesaggio. Un paesaggio così eterogeneo ed esteso da divenire – a detta del grande geografo Sestini – “100 paesaggi in un Paese solo”.

Il cuore italiano batte proprio nelle sue vaste pianure agricole, nei suoi borghi collinari e nelle sue cittadine montane e costiere, la cui essenza è da sempre invidiata da tutti. Luoghi che però assistono da decenni a una incontrollata urbanizzazione, tale da minacciare la peculiarità più intima dell’Italia. L’urbanizzazione, sia legale che abusiva, va a braccetto con un altro fenomeno ugualmente serio: la demolizione di edifici storici. Sia al Nord che al Sud (anche se più nel Mezzogiorno) si preferisce il “nuovo” a discapito – a volte – della storia e del buon gusto.

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Il quartiere Sacro Cuore di Modica ne è un esempio. Proprio gli scorsi giorni la città siciliana, rinomata per il suo inconfondibile barocco, ha assistito alla demolizione di diverse ville storiche e giardini. Un trend che caratterizza gli ultimi 50 anni e che prosegue oggi, con ancor più enfasi, per via dei Bonus fiscali. Come si è arrivati a tutto questo? Quali le soluzioni? Ma – prima di tutto – quando un immobile è considerato storico? Mark Cannata – architetto con esperienze internazionali e con un curriculum che vanta la partecipazione alla 17ma Biennale Architettura di Venezia – ci aiuta a comprendere la problematica.

Gli edifici storici e il vincolo monumentale

Gli edifici antichi a rischio estinzione sono per lo più dimore storiche. Tuttavia non sono solo delle semplici abitazioni d’altri tempi, ma dei veri e propri beni di interesse storico-artistico. Sono definiti tali perché sottoposti a vincolo monumentale secondo il DL 42/2004. Purtroppo non tutte le dimore storiche godono di questa protezione e spesso sorgono in luoghi definiti edificabili. Se nel primo caso il proprietario è vincolato da una serie di limitazioni come ad esempio il divieto di demolizione o di restauro, nel secondo caso questi beni sono alla mercé del mercato edilizio.

Tuttavia, al di là della nomenclatura giuridica, anche gli edifici antichi minori costituiscono parte della memoria collettiva di una città. E ciò non è poco.

«Gli edifici storici sono un indicatore fisico della storia di un paesaggio – racconta Mark Cannata –. La loro perdita incrementale significa erodere a poco a poco una parte dell’eredità culturale e dell’identità di un Paese. Tutto ciò non significa però che non si possano modificare. Edifici come questi devono avere una funzione continuativa per protrarsi nel tempo. Devono, quando le circostanze e intelligenti proiezioni lo consentono, adeguarsi al programma sociale e culturale del terzo millennio. Il cambiamento però deve essere gestito e basato su un’analisi del valore intrinseco di questi edifici e del loro contributo alla collettività. In sostanza, il cambiamento richiede giudizio».

Il quartiere Sacro Cuore di Modica: un cliché italiano

Negli ultimi 50 anni il quartiere Sacro Cuore di Modica ha assistito a un drastico cambiamento. Da ambiente agricolo è infatti divenuto un centro urbano composto da 15mila abitanti. Una pianificazione discutibile è stata e continua ad essere responsabile della costruzione di palazzine caotiche e irregolari. Un modus operandi, questo, riscontrabile in tutto il resto del Mezzogiorno, col risultato di centri urbani invivibili e congestionati.

«Ancora più grave è la demolizione di tante ville storiche di fine ‘800 e inizio ‘900 – prosegue l’architetto –. Moltissime delle quali di pregevole fattura architettonica. Questi villini costituivano una tipologia urbanistica che si può assimilare alle coeve ‘Garden Cities’ proposte dall’urbanista britannico Ebenezer Howard nel 1898. Urbanista che mirava a cogliere i benefici primari di un ambiente di campagna e di un ambiente urbano. Un concetto che ha inoltre ispirato la costruzione di molte città-giardino sparse nel globo. Queste tipologie di case, capaci di dialogare col contesto ambientale e di essere efficienti da un punto di vista di qualità della vita, si dimostrano tutt’oggi più adeguate rispetto agli attuali appartamenti costruiti. Edifici che nel Sud Italia vengono spesso abbandonati».

Gli anni Sessanta per Modica hanno mischiato le carte in modo definitivo: la città infatti è da allora preda della speculazione edilizia e di conseguenza della demolizione di gran parte del tessuto storico periurbano. Una storia che parte molto prima nel Nord Italia e che non ha ancora trovato un punto di fine. Ma vediamo le cause di questo problema.

L’allarme estinzione dei monumenti antichi

Progressi insufficienti nella tutela dei beni comuni, politiche volte alla cementificazione, oneri di urbanizzazione e Ici che fungono da escamotage per introiti comunali, rappresentano – da un punto di vista amministrativo – i problemi principali che ad oggi eredita il Bel Paese. Accanto a questo, altri fattori seri sono l’abusivismo e la demolizione illecita. Figli di una cultura italiana edilizia che mette radici nel boom economico della Ricostruzione e in un mai avvenuto Piano di urbanizzazione nazionale.

«Inoltre, una delle difficoltà culturali recenti – asserisce Cannata – è l’idea di centro storico come “isola”. Unico responsabile di gran parte delle attrazioni turistiche della città. Un centro storico cioè in profonda contrapposizione con tutto ciò che è al di fuori. Questo ha portato alla “presepizzazione” dei centri storici, o se vogliamo alla loro trasformazione in una sorta di scenografia disneyana, in cui tutto si svuota e deve rimanere immutabile. Un po’ come la Zora di Italo Calvino, obbligata a restare immobile e quindi destinata a morire. Dall’altro lato, la quasi assoluta mancanza di protezione per ciò che è al di fuori del centro storico ha portato a una edificazione privata di massa».

In questo contesto intacca con più facilità l’abusivismo edilizio. Un fenomeno che raggiunge livelli allarmanti nel Mezzogiorno e che accentua la polarizzazione Nord-Sud. Secondo la Relazione sugli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile condotta da Cresme nel 2019, le regioni del Nord registrano un’incidenza dell’abusivismo edilizio più contenuta rispetto alle altre aree geografiche.

Differenze tra Nord e Sud

Tuttavia, il dato più eloquente è quello che riguarda l’Indice di consistenza del tessuto urbano storico. È qui infatti che si riscontra la più grande falla, responsabile dell’ulteriore dilatazione tra i due poli italiani.

Differenze significative si trovano soprattutto per quanto riguarda la gestione del patrimonio edilizio storico che risente di decisioni politiche inadeguate per lo sviluppo locale. Secondo l’ultimo censimento Istat risalente al 2011, le regioni in migliori condizioni – da un punto di vista di perdita di tessuto urbano storico – sono l’Umbria e la Toscana, precedute dalle province autonome di Bolzano e Trento. Eccessivamente elevata è invece la perdita di edifici antichi nel Mezzogiorno.

Le regioni con valori inferiori al 50% sono Campania, Calabria, e Sicilia, dove in 10 anni si riscontra la perdita di circa un terzo degli edifici abitati più antichi.

Se in Italia i conti non tornano, qual è il risultato dei Paesi esteri? Quali sono le nazioni da prendere a esempio?

Il modello della Gran Bretagna

La salvaguardia degli edifici storici cambia di Paese in Paese per via delle differenze sociali e del diverso rapporto che ogni nazione ha con il proprio patrimonio culturale. Le continue collaborazioni con realtà internazionali hanno portato spesso Mark Cannata a confrontarsi con esperienze fuori dall’Italia, soprattutto anglosassoni.

«L’esempio britannico è un esempio vincente, rispetto alle altre realtà, per la cura nella ricerca e nella salvaguardia, nonché per una sviluppata coscienza collettiva – racconta Cannata –. Gli edifici vincolati sono basati su accurate descrizioni e giustificazioni del loro livello di vincolo. Queste ultime sono facilmente consultabili e soggette a revisioni cicliche. Esistono tre livelli: Grade I, Grade II* e Grade II che rispettivamente sono descritti come ‘Edifici di interesse eccezionale’, ‘Edifici di particolare importanza’ e ‘Edifici di interesse’. Nel Regno Unito il 92% è Grade II, il 5,5% Grade II* e il 2,5% Grade I».

Questo sofisticato meccanismo di riconoscimento del patrimonio storico-artistico è inoltre coadiuvato da responsabili comunali e organismi nazionali come l’English Heritage che, a differenza delle Soprintendenze italiane, permettono un controllo più preciso e una risposta più adeguata alle esigenze del patrimonio culturale, favorendo la gestione consapevole del cambiamento.

Come agire per salvare gli edifici storici a rischio estinzione?

«Puntare sulla qualità e non sulla quantità» suggerisce l’architetto Mark Cannata. Ossia evitare un surplus di edifici in zone invivibili come aree troppo trafficate o senza aree verdi e servizi. La ricerca dell’unicità, tra l’altro, è la caratteristica del mercato immobiliare dei Paesi esteri che da decenni hanno superato il problema dell’abusivismo edilizio e della demolizione di edifici antichi.

«Personalmente – continua –, ritengo indispensabile innanzitutto un’approfondita ricerca storica del patrimonio storico che abbiamo. La conoscenza genera consapevolezza del valore del contesto urbano e di un mercato immobiliare in forte crescita. L’aggiunta di elementi contemporanei, come interni di valore, giardini e servizi condivisi, possono essere un modo per ridare funzionalità agli edifici storici. Perché dunque demolirli se si può ricavare un progetto architettonico simile ai loft newyorkesi e alle mews house di Londra? Ossia edifici antichi convertiti in residenze di qualità decisamente più allettanti di anonimi appartamenti».

Urbanisti e architetti sono infatti i primi responsabili della valorizzazione e della trasformazione continua del tessuto urbano. Rispettare il più possibile ogni elemento, e non solo l’area del centro storico, è un altro punto saliente. Componenti minori dell’archeologia agricola ad esempio non sono da scartare. Alcuni di questi, come i muri a secco, sono per di più inseriti nella lista UNESCO come patrimonio dell’umanità.

«Da parte degli enti è necessario un aggiornato censimento degli edifici al di sopra dei 50 anni – conclude Mark Cannata –, creando un database consultabile che comprenda anche le regole da rispettare. Una maggiore conoscenza e consapevolezza del tesoro culturale italiano potrebbe aiutare a ravvivare la coscienza collettiva.  Lo stesso Codice dei beni culturali invita i soggetti privati, singoli o associati, a sostenerne la valorizzazione. La responsabilità di difenderlo è quindi di tutti».

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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