Tornare in ufficio per il 100% del tempo, proseguire con lo smart working o mantenere un orario settimanale flessibile?

In queste ultime settimane del 2021, uno sguardo alle recenti notizie sul Covid-19 ci restituisce un dato: in Italia perdura (e perdurerà, quasi certamente, fino a marzo 2022) lo stato di emergenza: non possiamo ancora, cioè, considerarci fuori dalla pandemia. Lo stesso dato, però, ci ricorda anche che una pandemia si sviluppa in diverse fasi: quella attuale ci vede alle prese con una nuova normalità, fatta di neonate consuetudini che ognuno di noi adotta al bar, al supermercato, al cinema ma, soprattutto, a scuola e al lavoro.

I numeri dello smart working in Italia tra il 2020 e il 2021

In questo scenario «post-pandemico» i lavoratori si apprestano dunque a ripristinare una quotidianità professionale il più possibile attenta alla sicurezza e cercano di trovare un equilibrio tra le modalità tradizionali e le formule agili sperimentate prevalentemente durante i lockdown.

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Prima del 2019, infatti, in Italia solo il 21,58% dei dipendenti del settore pubblico e il 33,15% di quello privato aveva sperimentato sporadicamente una modalità di lavoro agile: ce lo conferma l’ Indagine sullo smart working 2020, a cura del Centro Studi Incontra. La maggior parte di noi ha dunque conosciuto lo smart working solo a partire dal 2020.

Bilanciare meglio il lavoro con la vita privata, essere più produttivi e godere di più tempo libero: questi i principali vantaggi dello smart working individuati già a metà del 2020 dai dipendenti coinvolti nel Rapporto n° 04/2021 dall’Osservatorio sullo Smart working del Politecnico di Milano:

Sono oltre 6,6 milioni i lavoratori da remoto attivi a marzo 2020 (scesi a 5 milioni a settembre, pari al 33,8% dei lavoratori dipendenti). Si prevede che nella «nuova normalità» il numero si stabilizzerà a quota 5,3 milioni.

A questi vantaggi, gli intervistati hanno aggiunto poi il risparmio sui costi di trasporto da e verso l’ufficio e una maggiore autonomia circa il raggiungimento di obiettivi e risultati.

Più difficile è, per il momento, rilevare l’impatto dello smart working in un anno come il 2021, caratterizzato da una minore intermittenza dei lockdown a seguito del contenimento pandemico ottenuto grazie alla somministrazione vaccinale.

Già nel 2020, tuttavia, i nuovi smart worker non mancavano di individuare anche una serie di svantaggi delle nuove formule di lavoro da remoto, tra cui la difficoltà nel separare tempi di vita e tempi di lavoro, il gap tecnologico di una digitalizzazione non sempre compiuta e una certa dimensione di isolamento dovuta al mancato confronto diretto con i colleghi.

Smart working tra emergenza e nuova normalità

Accettando quindi che il lavoro da remoto nel 2020 ha rappresentato per lo più una scelta emergenziale, possiamo comprendere più facilmente decreti come il DPCM del 23 Settembre 2021, che di fatto impone una battuta d’arresto allo smart working nella Pubblica Amministrazione.

Eppure, con il perdurare dello stato di emergenza, sia la pubblica amministrazione, che le aziende private potranno ancora contare su accordi sindacali e negoziati per assicurare ai dipendenti un certo numero di ore settimanali da dedicare allo smart working, ad esempio per garantire la sicurezza sanitaria degli uffici grazie a una rotazione del personale.

Se è vero che, come rileva l’ufficio studi Variazioni, il 97% dei manager dice sì allo smart working anche nel post pandemia, al momento della revoca dello stato di emergenza i datori di lavoro avranno l’opportunità di tirare una riga e di affrontare la nuova normalità come un’occasione per riscrivere la vita professionale non già dei singoli dipendenti, ma dell’intero gruppo di lavoro.

Ci servirà ancora lo smart working nel 2022?

La sfida delle aziende per il 2022 è quindi quella di analizzare, per l’ultimo biennio di smart working, parametri quali produttività aziendale, sicurezza sul luogo di lavoro, soddisfazione del personale e qualità dei servizi digitalizzati.

Alla luce di queste analisi, le aziende saranno chiamate a prevedere o meno un certo grado di flessibilità nella gestione del monte ore a contratto. Se sotto il profilo della produzione di beni lo smart working è infatti quasi mai realizzabile, le formule di lavoro agile che alternino la presenza in ufficio con il lavoro da remoto sono invece attuabili dove il team non debba cooperare dal vivo e sia stato collaudato un metodo di monitoraggio degli obiettivi anche a distanza.

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Chiara Iaquinta

Chiara Iaquinta

Chiara Iaquinta, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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