Migliaia di lavoratori stanno scendendo nelle piazze del continente europeo per protestare contro il mancato adeguamento degli stipendi a fronte dell’aumento del costo della vita. La problematica non è però una novità per tutti i Paesi europei. Gli stipendi in Italia sono fermi da circa vent’anni e recentemente un video di una giovane ingegnere edile ha riportato al centro del dibattito politico la necessità di un aumento.

A inizio febbraio è diventato virale il video di Ornela Casassa, in cui la ragazza racconta di aver rifiutato una proposta di lavoro a 900 euro lordi mensili, ritenendola degradante per la propria professionalità. Così, la ridiscussione dei contratti collettivi nazionali, il 49% dei quali è ancora in attesa di rinnovo, potrebbe rappresentare un’opportunità da non sprecare.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

Perché gli stipendi in Italia sono rimasti bassi nel tempo

Gli stipendi in Italia si sono mantenuti costanti negli ultimi vent’anni. Nel 2022, a causa dell’aumento del costo della vita legato all’inflazione, le famiglie hanno dovuto intaccare i propri risparmi. Secondo il report mensile “Banche e moneta” di Banca d’Italia, i depositi sono diminuiti di quasi 20 miliardi di euro, pur mantenendosi nel complesso elevati. Infatti, secondo i dati ISTAT, la retribuzione media nel Paese dal 2002 al 2021 è stata spesso sufficiente a coprire le spese medie a carico delle famiglie. Questo ha permesso in molti casi di accrescere i propri risparmi.

Nel lungo periodo la retribuzione media risulta quindi bassa non tanto se rapportata al costo medio della vita, quanto se confrontata con quella degli altri grandi Paesi europei. Nel 2021 l’Italia si collocava infatti al decimo posto in una scala basata sugli stipendi medi percepiti da dipendenti a tempo pieno. Questa differenza con altri Paesi, come Francia e Germania, si fa risalire alla mancata introduzione in Italia di una normativa che fissi un salario minimo.

Gli stipendi in Italia sono regolamentati dalla contrattazione collettiva nazionale, un accordo firmato tra i rappresentanti dei lavoratori e i datori di lavoro. Secondo le stime del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, in Italia quasi il 98% dei lavoratori è coperto dalla contrattazione collettiva. Quindi, visto che ogni contratto prevede un livello minimo retributivo, in Italia esisterebbe già una forma di salario minimo.

Ad oggi però i contratti collettivi nazionali non vengono sempre tenuti in considerazione e Unione europea e Italia intendono affrontare il problema. In vista dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali scaduti nel 2019, sono oggetto di discussione alcune soluzioni che potrebbero aumentare la soglia minima degli stipendi in Italia, tarandola sull’innalzamento recente dei costi della vita.

Le soluzioni temporanee e a lungo raggio

L’Italia sta valutando per ora soprattutto soluzioni temporanee, in attesa del rinnovo dei contratti collettivi nazionali. Nell'ambito della legge di bilancio 2023 il governo italiano ha approntato ad esempio alcune misure per ridurre parzialmente il cuneo fiscale.

Nel corso dell’anno i lavoratori dipendenti con un reddito fino a venticinquemila euro si vedranno riconosciuto uno sconto contributivo pari al 3%. I dipendenti con un reddito fino a trentacinquemila euro riceveranno invece uno sconto del 2%, come nella seconda parte del 2022 (decreto aiuti-bis). Questo dovrebbe portare nell’immediato un aumento parziale degli stipendi in Italia per le categorie di lavoratori indicate dalla legge di bilancio.

Per quanto riguarda invece le categorie lavorative per cui è prossimo il rinnovo del contratto collettivo nazionale di riferimento, sono previsti alcuni aumenti anticipati. Nel caso della categoria dei commercianti, il 12 dicembre 2022 è stato firmato un protocollo d’intesa comune grazie al quale nel corso del 2023 sarà riconosciuto un aumento annuo di circa 600 euro lordi.

Inoltre, la Direttiva europea relativa ai salari minimi, approvata il 4 ottobre 2022, prevede che Paesi come l'Italia debbano adeguarsi alle indicazioni sulla contrattazione collettiva nazionale entro novembre 2024. Per farlo, i Paesi membri dovranno intensificare i controlli da parte degli ispettorati del lavoro e predisporre delle relazioni annuali da presentare alla Commissione.

Condividi su:
Giovanni Beber

Giovanni Beber

Giovanni Beber. Studio Filosofia e Linguaggi della Modernità presso l'Università di Trento e sono il responsabile della comunicazione di un centro giovanile a Rovereto. Collaboro con alcuni blog e riviste. Mi occupo di sostenibilità, ambientale e sociale e di economia e sviluppo.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici