Nomadi digitali, smart working, remote working: la pandemia ha incrementato lo sviluppo di un fenomeno che cambierà il mondo del lavoro. E che è importante mettere a fuoco.

Secondo la visione più diffusa, i nomadi digitali sono persone che decidono di mollare tutto, mettersi uno zaino in spalla e girare per il mondo, pc alla mano. Ma è davvero così? Buonenotizie.it ha intervistato Alberto Mattei, fondatore della community italiana dei Nomadi Digitali, per chiarire chi sono veramente e per far luce sugli aspetti più interessanti del remote working.

Nomadi digitali e smart workers: le differenze

Lo smart working, diversamente da ciò che si pensa, non è sinonimo di remote working o di home working; questi, infatti, sono strumenti – tra gli altri – di cui lo smart working si serve per concretizzare il modello di pensiero su cui si basa. Lo smart working mira al benessere dei lavoratori. Il ‘lavoro intelligente’ non è altro che un mindset da adottare per ottimizzare le risorse umane e rendere la catena di montaggio più produttiva: se i dipendenti sono in uno stato di benessere mentale, lavorano meglio.

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Il concetto di benessere riguarda anche il nomadismo digitale; Alberto Mattei ne parla così: “Io vedo il nomadismo digitale come un fenomeno evolutivo che nasce dalla diffusione dell’era digitale. Molte persone, sfruttando il proprio bisogno di indipendenza, utilizzano le tecnologie digitali per conquistarsi la libertà di poter vivere e lavorare da luoghi diversi. Il tema centrale non è il viaggio in sé, ma il fatto che il lavoro sia slegato da una sede fissa. C’è chi li vede come giovani freelance o chi ha un’idea più bohémien legata al viaggio; sono aspetti importanti ma la verità è che i nomadi digitali sono un movimento molto più eterogeneo di quanto si possa pensare. Dai blogger, ai fotografi, agli imprenditori. Potenzialmente, anche l’home working può essere considerato nomadismo digitale: tutto dipende sempre dal mindset; il nomadismo digitale non è un modus operandi ma uno status mentale.

Un fenomeno che guarda al futuro

Il nomadismo digitale è un fenomeno che guarda al futuro. Alberto Mattei dichiara: “Il nomadismo digitale non è una moda: la pandemia l’ha solo istituzionalizzato. Il punto è che i lavori stanno cambiando; adesso le persone vengono inserite in un organico per risolvere problemi e creare soluzioni. Più andiamo avanti, più bisognerà possedere queste capacità e prendere coscienza delle potenzialità del web, in questo senso. Anche per questo bisogna investire in cultura digitale; iniziando, secondo me, dalla comunicazione positiva. Il nomadismo digitale può aiutare a stimolare il processo: quando cambiano le esigenze delle persone, iniziano a cambiare anche le posizioni di chi dirige.

Chiunque può “digitalizzare” il proprio mestiere? Alberto Mattei risponde così: “Ovviamente non tutto è per tutti. Ci sono persone che hanno bisogno di una routine e ci sono lavori che non potranno mai essere digitalizzati al 100%. Quello che posso dire, però, è che tutti i settori verranno influenzati dal digitale. L’era industriale è finita, oggi siamo nell’era del digitale; ciò significa che tutti avranno sempre più bisogno di confrontarsi con le nuove tecnologie. Per questo dico che il nomadismo digitale è un fenomeno evolutivo di portata globale ed è per questo che il nostro movimento è tanto eterogeneo.

Il nomadismo digitale è quindi un fenomeno che guarda al futuro e che potrà aiutare anche la digitalizzazione del nostro Paese. Le opportunità del web working sono sempre più numerose, tanto che esistono già aziende full remotely (come Automattic) che contano centinaia di dipendenti sparsi in tutto il mondo.

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Sofia Greggio

Sofia Greggio

Sofia Greggio. Correttrice di bozze, editor e ghostwriter, ho seguito corsi di editoria come lettura professionale, scouting e consulenza editoriale e un master in scrittura creativa. Oltre al mondo dei libri, sono appassionata di civiltà orientali e infatti studio Antropologia all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

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