Fabiana Andreani, per i follower @fabianamanager, è l’influencer che parla di carriera alle nuove generazioni nonché l’autrice del nuovo libro “Lavorare alla grande”, con il quale si rivolge ai giovani lavoratori in cerca di consigli su lavoro e formazione. Nel libro è possibile trovare le risposte alle domande che spesso attanagliano un candidato prima di sostenere un colloquio.

Recentemente Fabiana ha partecipato come speaker al Next Generation Fest, il festival dedicato alle nuove generazioni organizzato a Firenze dalla Regione Toscana nell’Anno Europeo dei Giovani. Nel suo intervento ha invitato la platea a non sentirsi in ritardo su quello che è il proprio percorso lavorativo: non esistono schemi o doveri prestabiliti, esistono ritmi diversi e strade personali. Di questo l’influencer è un esempio concreto: ha una laurea in Relazioni Internazionali e un dottorato in linguistica ma dopo 11 anni nel settore della formazione, nel 2020 diventa content creator su TikTok,  ispirando più di 250 mila follower su argomenti come carriera, lavoro e formazione.

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Come racconti la tua storia a chi non ti conosce?

“Dapprima ho aperto il canale Tik Tok per comunicare un’idea diversa di donna, che mettesse insieme lavoro, carriera e famiglia. Poi sono iniziate ad arrivare tante persone che mi chiedevano consigli su curriculum, colloqui, lavoro e formazione. Ho iniziato a fare dei contenuti su come realizzare un curriculum e questi sono diventati virali, da lì ho capito che c’era bisogno di orientamento, che purtroppo è uno degli ambiti meno presidiati del sistema scolastico italiano.

Quello che faccio è parlare di lavoro con una modalità empatica e usando molta autoironia, nel tempo @fabianamanager è diventato un personaggio particolare anche per la scelta di tingere i capelli, che oggi sono bicolor, e che mi aiutano a lanciare un messaggio preciso: puoi essere te stesso e fare carriera.”

Come è cambiato il mondo del lavoro per le giovani generazioni?

“Io ho quarant’anni, quando mi sono affacciata sul mondo del lavoro come una dei primi Millennial c’era ancora il mito del lavoro come propria realizzazione, come quantificazione del proprio valore come persona e lo stacanovismo a tutti i costi sembrava l’unica modalità.

Nel corso degli anni questo mito ha perso valore semplicemente perché molte delle promesse fatte non si sono realizzate. Si inizia a lavorare con stipendi bassi, la carriera è lenta e se vuoi vivere in una grande città devi fare tanti compromessi. Questo senso di disillusione si è fatto avanti nelle nuove generazioni, che sono cresciute nell’incertezza e con l’idea che il lavoro fosse non sicuro.”

La pandemia ha avuto un ruolo in questo cambiamento di prospettiva?

“La pandemia che ha fatto diventare la ricerca del benessere un tema prioritario. Non si è parlato più tanto di un benessere economico quanto di un equilibrio personale. Questo non significa che i giovani non vogliano lavorare ma che semplicemente di fronte a trattamenti iniqui fanno le loro valutazioni. Oggi un ragazzo che sa di avere delle competenze non accetta più condizioni al di sotto della dignità lavorativa. La pandemia è stata un momento terribile ma anche illuminante: abbiamo capito che ci sono altre cose nelle nostre vite oltre al lavoro.”

Il quiet working secondo te è una moda temporanea o un serio campanello d’allarme?

“Il dipendente che lavora il minimo indispensabile va detto che è sempre esistito. Il quiet quitting è un riflesso della pandemia, che non significa che non vogliamo più impegnarci, ma semplicemente che si mettono dei confini. Orari proibitivi che compromettono la vita familiare o il tempo libero personale non sono più accettabili.

Questo secondo me farà sì che i giovani lavoratori si sposteranno dal modello del lavoratore dipendente a quello del collaboratore. La partita IVA, che incuteva terrore, oggi non fa a tutti paura, soprattutto perché permette di scegliere dove lavorare e gestire i carichi di lavoro in modo autonomo.”

Per le aziende che significato assume il quiet work?

“Per le aziende il quiet working è un allarme pericolosissimo, perché vuol dire avere delle risorse non ingaggiate, che cercano altre opportunità fuori dall’organizzazione. Un’impresa illuminata attualmente deve investire in modo prioritario nei dipendenti, deve cercare di trattenere i migliori talenti perché un’azienda è fatta di persone e sono le persone a dare all’organizzazione il vero valore aggiunto. I datori di lavoro devono ascoltare le esigenze e rispondere a queste in modo flessibile.

Si stanno sviluppando diversi modelli di leadership in contrapposizione a quelli vecchi incentrati sul controllo e sul micro management che a lungo andare tolgono al dipendente la voglia di impegnarsi. Ultimamente sto collaborando con diverse organizzazioni interessate ad attrarre giovani talenti e vedo modalità di lavoro innovative, come ad esempio la disponibilità all’ascolto e l’incentivo a dare feedback e a dire la propria opinione anche se si è arrivati da poco. I talenti stanno diventando sempre più rari, una azienda saggia deve trattenerli.”

Perché secondo te lo smart working è ben accolto dagli impiegati mentre i dirigenti e i datori di lavoro fanno resistenza?

“Si tratta di modelli di leadership un po’ vecchi e gerarchici, dove si pensa che il team renda bene solo in presenza, mentre la realtà è che chi non vuole lavorare non lavora nemmeno in ufficio. Ci sono dei ruoli che possono essere svolti solo fisicamente ma non ha senso esigere la presenza per attività come formazione o meeting che si possono svolgere tranquillamente da remoto. Il rapporto di lavoro oggi funziona valorizzando le persone, risultato che si ottiene dando responsabilità ma al tempo stesso fiducia.

Per un dirigente al vertice da tanti anni questo può risultare difficile perché significa rimettersi in gioco, essere pronto a rispondere a nuove domande e magari a trovarsi di fronte a dipendenti che innovano apportando miglioramenti. In quel momento il capo deve essere in grado di dire: “Sì, in effetti è meglio fare come consigliano queste persone piuttosto che come dicevo io”.

Ci troviamo di fronte a tanti segnali nuovi che il mercato di lavoro improvvisamente sta lanciando, siamo di fronte a una rivoluzione?

“Quello che io leggo è un messaggio di consapevolezza. Siamo di fronte a delle persone che finalmente sono consapevoli di quello che conta per loro e non mettono il lavoro e la job title di fronte a tutto e tutti in maniera cieca. Io ho grande speranza nella generazione Z, che sta dimostrando di avere dei valori saldi e di non essere disposti a sacrificarli. Sembrano quasi più che una generazione del futura una generazione con la saggezza del passato.

Un altro elemento innovativo da menzionare è quello del nuovo rapporto tra lavoro e formazione online. Abbiamo a disposizione molti strumenti e io che lavoro nel settore ho visto cambiare totalmente il mercato. Solo pochi anni fa ci si doveva spostare nelle grandi città per fare dei master che oggi si possono frequentare da casa, stiamo andando verso una società che è sempre più consapevole dei propri diritti e spero che questo porti anche a un atteggiamento di circolarità. La sostenibilità non è solo quella ambientale ma si applica anche alla professione: un ambiente di lavoro più salutare porta dipendenti più soddisfatti, consumi più oculati, produzioni più attenti. Siamo tutti nello stesso mondo.”

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Chiara Bastianelli

Chiara Bastianelli

Laurea in Economia e Direzione Aziendale. Project manager in una società di consulenza strategica per le imprese. Appassionata di aziende, finanza e letteratura.

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