La filiera agroalimentare è tra i settori con il maggior impatto sull’ambiente. Per questo servono soluzioni.

Il nuovo documento presentato per la Giornata internazionale dell’Alimentazione dimostra che il 2021 è stato un anno “nero” per l’agricoltura italiana a causa degli effetti del cambiamento climatico.

Nel corso di quest’anno il settore agroalimentare infatti ha subìto perdite ingenti nella produzione di miele (-95%), olio (-80%), vino (-50%), frutta (-27%), prodotti derivati dal pomodoro (-20%) determinando per ovvie ragioni un rialzo dei prezzi per i consumatori.

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Questo effetto domino ha origine dagli eventi climatici “estremi” (alluvioni, trombe d’aria, grandinate e ondate di calore) sempre più frequenti che al comparto agricolo italiano sono costati 14 miliardi di euro negli ultimi 10 anni. Nel 2021 in Italia sono stati circa 1.500, con un incremento del 65% rispetto al 2020, in linea con il quadro di tutta la regione mediterranea che evidenzia un aumento del 20% rispetto all’incremento medio globale della temperatura.

Il nesso tra cambiamento climatico e filiera agroalimentare è circolare. La produzione, la distribuzione e il consumo di prodotti agroalimentari alimenta sensibilmente il fenomeno – 37% nelle emissioni di gas serra – con un’aggravante che pesa per un terzo del totale: lo spreco alimentare.

Il ciclo dell’impatto per la filiera: Consapevolezza – Confronto – Cambiamento

Queste sono le 3C emerse negli interventi dedicati al rapporto tra sostenibilità e filiera agroalimentare durante i tavoli tematici del Salone della CSR dell’innovazione sociale.

Partendo dalla consapevolezza sullo spreco alimentare – che include lo spreco di risorse energetiche per produrre il cibo reperibile nella distribuzione – il movimento più evidente oggi è portato avanti da Too Good to Go, promotore del Patto contro lo spreco alimentare per estendere il mercato del surplus alimentare.

L’obiettivo principe di destinare la porzione di cibo in eccesso – corrispondente a un terzo in Italia e al 17% nel Mondo – a luoghi diversi dalla pattumiera, attraverso questo patto, trova finalmente una collaborazione concreta con gli stakeholder più impattanti sull’ambiente: le potenze della grande distribuzione organizzata o GDO.

Un esempio tangibile della loro incidenza è CIRFOOD – uno dei 24 partner all’attivo nel patto, il primo di ristorazione collettiva e commerciale – che promuove la vendita delle magic box nelle proprie catene distributive (solo nel primo anno hanno salvato 5.300 pasti e 13400 kg di CO2 all’anno) e nelle scuole dotate di mensa prevede borsette anti-spreco che permettono a ogni bambino di riportare a casa gli avanzi della giornata.

Le eccedenze di alimenti però trovano una seconda chance non solo tramite canali commerciali, ma anche nel no profit, grazie a collaborazioni come l’iniziativa Azione Solidale dell’Associazione Solidarietà, donando il cibo ai circuiti di organizzazioni dedicati agli indigenti (6.000 kg di alimenti devoluti nel 2020). Lo stesso principio è adottato da Lidl, il più grande gruppo retailer in Europa, che dal 2018 con Banco Alimentare ha recuperato 19 mila tonnellate di cibo, l’equivalente di 38.000 pasti.

Queste azioni, intanto non rappresentano attività meramente filantropiche considerando che il 45% del fatturato delle GDO deriva da prodotti freschi, per cui il fattore tempo connesso al deperimento delle materie prime è cruciale. In secondo luogo, ricadono su un bacino di persone per nulla minoritario. I dati 2021 della FAO indicano che il 40% della popolazione mondiale non ha accesso continuativo a una dieta sana ed equilibrata.

Aiutare la produzione agroalimentare sostenibile grazie alla tecnologia

Dato che non c’è una normativa obbligatoria in materia di sostenibilità alimentare, non c’è neppure un’azione condivisa univocamente. Ogni impresa quindi agisce scontrandosi spesso con la sostenibilità economica di alcuni cambiamenti ma valutando anche i costi del non applicare strategie sostenibili, come emerge dal confronto tra gli esponenti coinvolti.

Un esempio di ispirazione è la piattaforma Sos QualiTech ideata dall’azienda Image Line – specializzata in servizi innovativi per l’agricoltura – in partnership con le cooperative Colli Romagnoli e Terre Cevico e il supporto tecnico di Stefano Poni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. L’obiettivo è stato realizzare un’unica banca dati costantemente aggiornata con cui verificare la conformità delle uve in modo automatizzato. Il procedimento prevede la possibilità di inserire i dati agronomici, i trattamenti fitosanitari (così tracciati), geolocalizzare i sopralluoghi tecnici per campionare i vitigni e integrandoli in tempo reale con i dati climatici, compiere analisi delle curve di maturazione per stimare l’epoca di raccolta e quindi ottimizzare le attività in cantina.

Al grande vantaggio di trasparenza e trasmissione di innovazione tecnologica si unisce la replicabilità della piattaforma e quindi dei processi per la mappatura e la difesa delle colture.

Proprio questo aspetto è uno dei problemi sollevati invece da De Matteis Agroalimentare nel corso del dibattito, per quanto riguarda la produzione del grano e di conseguenza della pasta, in cui l’Italia – per quanto suoni paradossale – dipende fortemente dalle esportazioni del Canada e degli Stati Uniti.

In questo senso, la ricorsività delle risorse è garantita solo dall’agricoltura biologica. E rappresenta una soluzione duratura per ridurre le emissioni dell’intera filiera agroalimentare attraverso lo stoccaggio di carbonio nel suolo indotto dalla concimazione organica.

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Roberta Nutricati

Roberta Nutricati

Laureata in Lettere Moderne a Siena e in Relazioni Internazionali a Torino. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna per un anno, ho conseguito un master in Europrogettazione e il riconoscimento alla Camera dei Deputati come Professionista Accreditata presso la Fondazione Italia-USA a Roma. Collaboro con il settimanale TheWise Magazine e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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