C’è un dato curioso in questa realtà di guerra che ci fa capire come l’indulgenza componga il filo conduttore che ci tiene uniti gli uni agli altri. La rete di solidarietà che molti Paesi hanno costruito per dare rifugio a ucraini e russi fuggiti dalla morsa della guerra è immensa. Secondo i dati forniti dall’UNHCR, oltre 5,4 milioni di profughi sono fuggiti dall’Ucraina. Nel primo caso i rifugiati scappano dalla devastazione, nel secondo caso per timore della repressione di un governo dall’atteggiamento dittatoriale.

In Italia sono giunti circa 103.954 ucraini in cerca di protezione. Siamo tra i Paesi europei che più si stanno mobilitando in soccorso delle vittime di guerra dopo Polonia e Germania. Ci appartiene un primato: il mondo dello sport italiano sta generando solidarietà per gli atleti ucraini. L’Italia ad oggi è la comunità che dà asilo a più del 50% di sportivi professionisti fuggiti dalla guerra.

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L’Italia si muove sulla scia della solidarietà nello sport

20 Federazioni Italiane sono attive nell’integrazione degli atleti fuggiti dalla guerra. Per citarne alcune: la Federazione Ciclistica Italiana, la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, la Federazione Italiana Nuoto, Pallavolo, Scherma e ancora molte altre. Si sta lavorando per trovare anche più spazio da donare in ospitalità e inclusione.

Giovanni Malagò, Presidente del CONI, si mostra orgoglioso e aperto: “Considerate sempre il centro di preparazione olimpica come la vostra seconda casa. Anche se non vogliamo che lo diventi per sempre visto che sappiamo quanto desideriate tornare nel vostro Paese“. Queste le parole dedicate al Presidente del Comitato Olimpico ucraino Sergey Bubka, tra le altre cose miglior saltatore con l’asta della storia dell’Unione Sovietica prima e dell’Ucraina poi. L’ex olimpionico, alla sua primissima conferenza dopo lo scoppio della guerra, ha aggiunto: “L’Italia ci sta aiutando in modo incredibile. Non ho mai incontrato nella mia vita una tale solidarietà“.

La sistemazione di migliaia di atleti deve rimanere provvisoria, questo è chiaro, perché la speranza che questi possano tornare a vivere in Ucraina è forte. La voglia di tornare in Ucraina ancora di più. Ciò rappresenterebbe il segnale di arresto della guerra con la Russia. Anche se momentaneamente, stiamo cercando di dare la possibilità a tanti rifugiati di stravolgere il meno possibile le loro vite, già fortemente segnate. “La cosa più importante è il concetto di solidarietà olimpica“, continua Malagò a cui fa eco Valentina Vezzali, ex fiorettista oggi delegata dello sport in Parlamento: “Lo sport è anche solidarietà. Stiamo offrendo agli atleti la possibilità di continuare ad allenarsi e partecipare ai prossimi grandi eventi. Lo sport sta facendo la sua parte, sta mostrando quanto può essere inclusivo”. Ed è precisamente questo il messaggio che si intende trasmettere, il lato più nobile della disciplina sportiva.

Le realtà sportive italiane che si stanno armando di solidarietà

A Roma, il centro di preparazione olimpica Acqua Acetosa e il polo sportivo di Ostia stanno accogliendo numeri enormi di profughi sportivi e famiglie. Ma qui si parla di strutture attrezzate che ricevono fondi direttamente dalle Federazioni. In tutta Italia anche delle realtà minori si sono rimboccate le maniche, per così dire, donando poco e niente di quel che possiedono in favore di integrazione e solidarietà. Un esempio su tutti è rappresentato dalla città de L’Aquila, ancora in difficoltà dopo il sisma del 2009 e non in grado di supportare un tale flusso di professionisti per mancanza di centri sportivi e infrastrutture adeguate. Il Capoluogo abruzzese si sta mobilitando come può dando la possibilità alla squadra di ciclismo nazionale ucraina di continuare ad allenarsi in vista degli appuntamenti sportivi più importanti.

Diventa molto importante per questa gente non perdere il contatto con la realtà. Per farlo, l’unica possibilità è continuare ad allenarsi e non perdere di vista l’obiettivo, che sia l’Olimpiade o altro. Il nostro compito è quello di occuparci dei loro bisogni in un doloroso momento di transizione e dargli l’opportunità di vivere una quotidianità quanto più vicina a quella che vivevano nel loro Paese. Questo è il vero concetto di solidarietà che nello sport vede la massima espressione.

La città de L’Aquila pochi anni fa ha potuto toccare con mano cosa vuol dire scappare da una città distrutta e fuggire dal pericolo. Trovare accoglienza e ritrovare casa all’interno di una rete solidale che si è stretta attorno al popolo terremotato. La solidarietà genera solidarietà e lo sport ne è portavoce: “Gli abruzzesi sanno che vuol dire perdere tutto in un attimo” afferma Sergiy Grechin, direttore tecnico della Nazionale. Dopo il sisma del 2009 molte società sportive aquilane si sono trasferite fuori città per continuare ad allenarsi e avere la possibilità di partecipare alle competizioni. L’Aquila, pur non avendo molto da condividere, ha invitato tutti gli atleti a rifugiarsi in città grazie al supporto del Comune. La Federciclismo ha assicurato ai ragazzi la partecipazione a gare nazionali con la divisa dell’Ucraina.

L’esclusione degli atleti russi e bielorussi

La rivincita dell’integrazione e solidarietà nello sport sarebbe quella di favorire l’inclusione di tutti quegli atleti che hanno subito la privazione delle loro abitudini e del loro mestiere. Il discorso vale anche per russi e bielorussi, fuggiti dai loro Paesi natali da profughi.

Le motivazioni che stanno spingendo migliaia di cittadini russi alla fuga sono principalmente di tipo economico dato che, a causa delle enormi sanzioni approvate contro la Russia, il rincaro dei beni sta pesando perfino sulle famiglie di ceti maggiori. Scappare significa anche manifestare il proprio dissenso nei confronti di un uomo e una Nazione che stanno lentamente imponendo la legge marziale che in breve tempo potrebbe chiudere i confini, obbligare l’arruolamento nell’esercito, vietare le manifestazioni di dissenso e la libertà di pensiero.

Il problema più grande è l’ostilità nei confronti di russi e in minor parte bielorussi che giungono in terra di salvezza. Nel mondo dello sport ha fatto molto rumore l’esclusione dei tennisti sovietici da Wimbledon. Sulla scia dello Slam anche moltissimi altre Federazioni stanno prendendo gli stessi provvedimenti per evitare che il regime russo tragga vantaggio dal coinvolgimento di questi atleti nelle competizioni internazionali. Molti rappresentanti pubblici hanno manifestato il loro dissenso in seguito alle vicende: “L’esclusione degli atleti russi è sbagliata, lo sport può solo unire. Non ha nulla a che vedere con politica ed economia. Gli sportivi devono continuare a far parte delle competizioni, lavorano tutta la vita per avere una chance” ha commentato Lucescu, allenatore della Dinamo Kiev. Il Cremlino risponde così alle squalifiche: “Hanno reso gli atleti ostaggi di pregiudizi, di intrighi politici, di azioni ostili contro il nostro Paese“.

Punti di vista differenti: dove la solidarietà nello sport non arriva

Nei confronti di atleti russi e bielorussi è cresciuta l’ostilità e il consenso popolare riguardo la loro esclusione da ogni tipo di manifestazione fuori dai confini. Ma non tutte le figure del mondo sportivo sono state in grado di prendere le distanze da questioni politiche come il sopra citato Lucescu. Il Comitato Olimpico Internazionale ha ritirato l’Ordine Olimpico al presidente Vladimir Putin. A russi e bielorussi è stato proibito prendere parte a campionati internazionali di sci, rugby, basket, nuoto, pattinaggio, ginnastica, volley, calcio, Formula 1 e Moto GP.

Diversamente ragionevole è invece la parte presa dalle tenniste Elina Svitolina e Marta Kostyuk. In tante occasioni sono proprio gli ucraini a chiedere di ridimensionarsi nei confronti di atleti russi. Ma c’è un “a meno che“. Ovviamente diventa indifendibile colui che difende azioni violente e che sostiene, anche con uscite pubbliche, la guerra in Ucraina. Per questo motivo il nuotatore russo Evgeny Rylov è stato squalificato per nove mesi dalla Federnuoto internazionale a seguito dell’assunzione di comportamenti filo-Putin. D’altro canto ci sono atleti russi che hanno preso le distanze da quanto sta succedendo a Kiev, manifestando pubblicamente il loro dissenso. In quel caso, secondo le due famose tenniste, gli organi competenti dovrebbero prendere posizione e chiedere agli atleti se siano d’accordo con la guerra e con il regime di Putin e Lukashenko. Solo in tal caso la squalifica ufficiale sarebbe la soluzione.

Non è ben chiara la posizione assunta nei confronti di atleti russi e bielorussi, nonostante al momento le Federazioni li abbiano banditi inevitabilmente. Quello che è bene tenere a mente è che Lo sport è anche solidarietà. È capace di dimostrare che i suoi valori parlano un linguaggio universale. Linguaggio che supera le differenze economiche, linguistiche, religiose e di genere” come sottolinea la Vezzali. Le storie di cooperazione solidale nello sport in aiuto di chi fugge da una situazione scomoda sono tantissime.

Ancora una volta lo sport ci insegna a essere solidali, seppur con qualche difficoltà lungo il percorso.

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Flavia Santilli

Flavia Santilli

Studio presso l'Università degli Studi de L'Aquila. Ho collaborato con diverse testate. Sportiva agonista e istruttrice di nuoto. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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