Il greenwashing, o ecologismo di facciata, è una strategia ingannevole che molte aziende adottano per camuffare la propria immagine sotto il profilo dell’impatto ambientale. Come riconoscerlo e come difendersi? Quali sono, invece, le aziende realmente virtuose dal punto di vista ecologico?

Greenwashing: un lupo travestito da agnello

Con il termine greehwashing si intende una strategia di marketing con la quale le aziende promuovono le proprie iniziative e i propri prodotti come eco-sostenibili, quando in realtà non lo sono affatto. Sono tantissime le aziende, soprattutto le multinazionali, che mascherano un impatto ambientale devastante con l’etichetta dell’ecocompatibilità, della sostenibilità e dell’ecologia.

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A coniare il termine per la prima volta fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld, nel lontano 1986. All’epoca Westerveld puntava a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’ecologismo di facciata delle grandi catene alberghiere statunitensi. Dietro la campagna mediatica lanciata da queste ultime, che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare i clienti a ridurre il numero di biancheria utilizzata si nascondeva il tentativo di tagliare i costi di gestione.

Il termine ancor più evocativo “eco-pornografia”, ideato dall’esperto di pubblicità Jerry Mander negli anni Sessanta, indicava la pratica, da parte delle aziende, di costruirsi un’immagine più “verde”, per attirare più consumatori. L’obiettivo delle aziende che praticano il greenwashing non è solo distogliere l’opinione pubblica dalle loro indubbie “malefatte” sul piano ambientale. Ciò a cui le aziende puntano creandosi una finta coscienza ambientalista è acquisire nuovi clienti: il greenwashing è, soprattutto, una spregiudicata strategia di marketing. Per questo è fondamentale riconoscere il fenomeno per sapersi difendere.

Come riconoscere l’ecologismo di facciata

La definizione forse più efficace e poetica del fenomeno la dà Valentina Furlanetto nel suo libro “L’industria della carità”: “Una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori”Per combattere il fenomeno dell’ecologismo di facciata è importante riconoscerlo: un’impresa non semplice, soprattutto quando assistiamo a pubblicità ingannevoli e accattivanti che puntano alla sincera sensibilità ambientale dei potenziali clienti.

Nei casi più frequenti di greenwashing la comunicazione da parte dell’azienda presenta numerose criticità e zone d’ombra, che spesso sfuggono al consumatore attratto dal luccichio della promessa di ecosostenibilità. Non ci sono informazioni o dati a conferma di quanto dichiarato dall’azienda. Le informazioni date vengono vendute come certificate da organi competenti quando, in realtà, non è così. Viene posta molta enfasi sulle singole caratteristiche di quanto riportato nella comunicazione, che però è troppo generica proprio per creare confusione. Nei casi più gravi, le informazioni vengono distorte con etichette false o contraffatte o vengono riportati dati non corrispondenti al vero.

Spesso l’ecologismo di facciata è riconoscibile proprio perché viene veicolato con eccessivo entusiasmo. Puntare ossessivamente sulle proprie virtù ambientaliste da parte delle aziende è il primo campanello d’allarme. Proprio come la beneficienza, le aziende che si impegnano realmente sul fronte ambientale non hanno bisogno di una comunicazione “strombazzante”.

Le aziende realmente “verdi” esistono

Esistono diversi soggetti che possono aiutare i consumatori a riconoscere le aziende realmente ecosostenibili e che vigilano sulla veridicità delle informazioni commerciali. Oltre alle Associazioni dei Consumatori, in Italia c’è Iap, l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria, che raccoglie i soggetti coinvolti nella pubblicità. Nel 2014 ha inserito nel Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale l’articolo 12, che impone criteri di correttezza, standard di trasparenza e vincolo di verificabilità sotto il profilo scientifico. L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha inserito il greenwashing nella black list delle pubblicità ingannevoli.

Pianeta 2030 del Corriere della Sera e Statista, la piattaforma digitale tedesca che gestisce uno dei principali portali di statistica e business intelligence al mondo, hanno condotto una ricerca per stilare un elenco delle 100 aziende italiane più sostenibili sotto il profilo ecologico. La ricerca, che potete consultare in questa tabella divisa per settori e aree geografiche, si basa sulla riduzione del rapporto tra consumi di anidride carbonica e fatturato.

Per sapere se un brand è realmente ecologico e sostenibile bisogna innanzitutto informarsi sull’azienda. In particolare è importante distinguere tra quelle che sono nate “verdi”, quelle che non sono sostenibili ma stanno riconvertendo in tal senso la produzione e quelle che fanno greenwashing. Un altro step è leggere gli ingredienti, informarsi sull’origine delle materie prime e considerare l’impatto ambientale e umano. In particolare bisogna fare attenzione che le materie prime siano il più a km 0 possibile, provengano da coltivazioni sostenibili, siano prodotte in maniera etica, equa e solidale, siano biologiche, testate nel rispetto degli animali e abbiano un prezzo equo. Le certificazioni in vigore nell’Unione Europea danno un’ulteriore garanzia di eticità. Per essere più ecosostenibili negli acquisti e nella vita di tutti i giorni è importante informarsi e fare pratica, sconfiggendo la superficialità e l’immediatezza che seducono il consumatore.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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