La legge di bilancio ha bocciato il bonus psicologo per il 2022. Quali possono essere le soluzioni per le persone in difficoltà economica?

Non ci sarà il bonus psicologo per chi non può permettersi un aiuto per superare il trauma della pandemia. Ma ci sono altri bonus operativi e altri che lo diventeranno presto. Nella manovra della legge di bilancio vengono stanziati 20 milioni per il sostegno psicologico degli studenti.

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Il Ministero della Salute ha previsto inoltre la spesa di altri 10 milioni di euro per favorire l’accesso ai servizi psicologici delle fasce più deboli della popolazione. Le regioni possono autorizzare le aziende e gli enti del SSN a conferire incarichi di lavoro autonomo agli psicologi. Questi ultimi dovranno assicurare prestazioni, anche domiciliari, alle categorie più fragili.

Lo Stato sta facendo abbastanza per la salute mentale dei cittadini? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giulia Tilocca, psicologa e consulente sessuale.

Hai seguito la vicenda della mancata approvazione del bonus psicologo in legge di bilancio? Cosa ne pensi?

All’inizio ero molto entusiasta per questa iniziativa, soprattutto stupita positivamente per l’interesse della politica nei confronti della salute mentale dei cittadini. Mi sembrava un passo avanti, visto e considerato che viviamo in una società ancora fortemente legata al concetto di medicalizzazione della salute. Tutto sembra volersi risolvere con un farmaco, ma così si trascurano gli importanti meccanismi psichici sottostanti a un sintomo.

Leggendo più nel dettaglio la proposta, sono rimasta però un po’ perplessa per le sue caratteristiche non del tutto inclusive: avrebbero potuto infatti usufruire del bonus psicologo solo i maggiorenni con assenza di diagnosi di disturbo mentale. Inoltre i fondi stanziati erano sicuramente insufficienti e avrebbero coperto solo una fetta ristretta di utenti. Un incentivo comunque prezioso ma non abbastanza per risolvere seriamente e alla radice la problematica dei limitati servizi pubblici che si occupano di salute mentale.

Per quella che è la tua esperienza, come stanno reagendo dal punto di vista emotivo e mentale le persone al terzo anno consecutivo di pandemia?

Sicuramente non bene: le persone sono ormai quasi più stanche che spaventate. Come quando l’auto va in riserva. Solo che l’essere umano non è una macchina che si ricarica facilmente e riparte come prima.

I livelli di stress sono aumentati vertiginosamente e questo significa percepire uno squilibrio tra le sollecitazioni esterne ricevute e le risorse psichiche interne a disposizione. I disturbi d’ansia e dell’umore hanno raggiunto un picco preoccupante e se parliamo di adolescenti la situazione si aggrava.

La depressione è quella che preoccupa di più: non si è in riserva, si è spenti del tutto. La parola “solitudine”, infatti, è quella che sento più spesso uscire dalla bocca dei miei pazienti. Anche il modo di vivere le relazioni è inevitabilmente cambiato e il contatto umano è sempre più virtuale. La sessualità sta cambiando.

Tutto questo crea spesso un senso di vuoto e di fame relazionale e di libertà con agiti impulsivi e ribellione o, al contrario, ansia sociale, chiusura depressiva, fobie e attacchi di panico.

Spesso poi dalle persone più controllate il dolore o la tristezza non vengono riconosciute, così come altre emozioni, ad esempio la rabbia. Pertanto possono presentare sintomi psicosomatici, ossessivi, disturbi del sonno e dell’alimentazione e anche disturbi sessuali.

Da non dimenticare le conseguenze sociali e psicologiche dovute alla precarietà lavorativa e alle minori risorse economiche. Ciò sta generando reazioni di ansia e stress importanti nelle famiglie e nei giovani alla ricerca di una stabilità che sembra fatichi ad arrivare.

Esiste ancora uno “stigma” sociale per il quale è difficile convincersi a rivolgersi a un terapeuta?

Esiste ancora seppur in maniera minore rispetto ad anni fa. Oggi sempre più persone dichiarano apertamente di avere bisogno di un supporto psicologico o parlano serenamente del loro percorso terapeutico ad altre persone. Non c’è più il forte tabù di decenni fa e si sta normalizzando pian piano il bisogno di chiedere un aiuto psicologico e l’accesso alle cure e al sostegno.

Ciò non vuol dire che oggi non ci siano più stereotipi e pregiudizi nei confronti della figura dello psicologo e nei confronti dei disturbi mentali, ma mi sembra che gli italiani siano sulla buona strada per poter accedere in consulenza e in terapia senza più nascondersi.

Ma se i cittadini sono pronti, lo Stato probabilmente non lo è ancora.

Personalmente ciò che faccio ogni giorno nella mia professione è normalizzare la richiesta d’aiuto evidenziando come lo psicologo non intervenga solo sulle malattie mentali, ma si occupi anche di problematiche che abbracciano la sfera della normalità come può essere una crisi evolutiva temporanea individuale, di coppia o famigliare. Lo psicologo fornisce quindi sostegno in un periodo di difficoltà mobilitando le risorse psicologiche della persona al fine di ritrovare il benessere personale.

Quanto è importante la cura della salute e del benessere mentale, soprattutto in un periodo storico come quello che stiamo attraversando?

Cito l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definisce la salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”. Questo significa che non c’è salute senza salute mentale e che quest’ultima deve – ma mio malgrado debbo usare il termine “dovrebbe” – essere considerata, valorizzata e tutelata alla pari di quella fisica.

Purtroppo il disagio psicologico è un “male invisibile” e spesso non è riconosciuto e viene anzi banalizzato e svalutato. O ancora peggio scambiato per svogliatezza, brutto carattere, capricci ed esagerazioni. Non è invisibile solo perché può non vedersi rispetto ad una problematica fisica come può essere una frattura ossea o un’ustione, ma è invisibile anche la sua importanza agli occhi della società. Questa cecità è più che mai evidente in un periodo storico-sanitario come questo: basti pensare alla stessa bocciatura del bonus psicologo. E questa è solo la punta di un iceberg invisibile da moltissimo tempo.

Molti psicologi si sono organizzati con le “sedute sospese” o istituendo la figura dello psicologo di base. Cosa dovrebbe fare in più lo Stato per la cura della salute mentale e cosa possono fare i singoli professionisti?

È lo Stato che dovrebbe istituire la figura dello psicologo di base e noi singoli psicologi possiamo fare poco se non attenerci alle leggi. Ad oggi, in Italia non esiste una legge nazionale per lo psicologo di base, ma nonostante questa lacuna legislativa alcune regioni hanno deciso di fare da sé e con i fondi regionali hanno preso questa preziosa iniziativa.

Ora è però più che mai è importante l’investimento nei servizi pubblici e in programmi di salute mentale a livello nazionale.

Anche noi psicologi soffriamo di questi “vuoti sanitari”: solo dal 1989 la professione di psicologo è riconosciuta come professione sanitaria, ma ad oggi non godiamo ancora degli stessi diritti e di un dignitoso numero di posti di lavoro nel pubblico come le altre professioni sanitarie, dovendo quindi investire sull’attività privata, che comporta molte spese e poche certezze e ovviamente parcelle non sempre accessibili a tutti.

Quello che possiamo fare è continuare a combattere per il sacrosanto diritto al benessere e alla salute mentale, facendo sentire la nostra voce e dando voce ai cittadini che necessitano sempre più di un sostegno psicologico. L’informazione e la divulgazione sono armi che non devono mancare mai.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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