La trasformazione digitale è una vera e propria metamorfosi culturale a cui diverse organizzazioni, come l’associazione Sloweb, cercano di far fronte. I processi di questa nuova metamorfosi sociale, resi più evidenti durante la pandemia, richiedono risposte operative, ma soprattutto educative, a cui la velocità dell’innovazione non lascia spazio.  La rapidità dei cambiamenti ha spinto i cittadini più sensibili a cercare soluzioni da offrire a coloro che hanno meno famigliarità con la tecnologia, a chi ha difficoltà con essa o anche a chi non ne comprende potenziali rischi e conseguenze.

Un’associazione “slow” per gustare meglio la tecnologia

Sulla scia del movimento Slowfood, ente internazionale impegnato a ridare valore al cibo, l’associazione Sloweb è una no profit nata per promuovere l‘uso responsabile del webattraverso attività di informazione, educazione e lotta agli usi impropri da parte di organizzazioni di ogni natura”, così come recita il suo manifesto. Fondata a Torino il 28 luglio 2017 da cinque soci con diverse competenze (informatiche, giuridiche, aziendali, psicologiche), l’associazione vuole “mettere in luce che il web non è una cosa cattiva che va demonizzata – spiega la presidentessa Giovanna Giordano illustrandone le potenzialità e prevenendo gli abusi attraverso l’acquisizione di una maggior consapevolezza, per diventare utenti responsabili”.

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La tutela della sicurezza e dei dati personali, la valorizzazione dell’eredità digitale, il contrasto delle dipendenze e dell’utilizzo compulsivo dei dispositivi digitali, fino alla conoscenza dell’impatto ambientale dell’abuso di tecnologia e alla gestione ecologica dei dati, sono tutte tematiche al centro delle iniziative dell’associazione. In questo modo si cerca di cambiare la prospettiva secondo cui  “la tecnologia è vista come un elemento di divisione – come suggerisce Giordano – per renderla un’esperienza da condividere e con cui creare valore“.

Associazione Sloweb: conoscere il digitale per usarlo bene

Nel tempo la rete dell’associazione Sloweb è cresciuta, segno di una maggiore sensibilità attorno ai temi dell’etica digitale, ma anche della crescente richiesta di sviluppo delle competenze digitali. La direzione da seguire punta a “valorizzare il lato buono della tecnologia, combattere gli abusi, uscendo dalla separazione tra saperi umanistici e scientifici, perché – continua la presidentessa – c’è bisogno di far crescere la consapevolezza attorno a temi che il pubblico conosce pochissimo: la profilazione, l’abuso dei dispositivi, il tempo passato davanti a uno schermo, l’impatto ambientale“.

È necessario un recupero della dimensione analogica del digitale, ossia di tutte quella serie di comportamenti, azioni e abitudini che sono indispensabili per un utilizzo buono delle tecnologie: avere famigliarità con un dispositivo non vuol dire saperlo utilizzare. I diversi progetti dell’associazione Sloweb sono mirati ad una riscoperta dei valori analogici che non vanno smarriti, tra cui favorire l’accessibilità ad Internet a quelle categorie spesso ai margini dell’alfabetizzazione digitale, come anziani, adulti e disabili e che la pandemia ha isolato maggiormente.

Il consumo digitale rischia di impoverire la dimensione umana della tecnologia e di trasformala in un elemento divisivo. Ecco perché tra le proposte di Sloweb ce ne sono alcune che, da un lato sono orientate a rimettere in dialogo le generazioni attraverso una conoscenza competente della tecnologia, dall’altro mirano a sviluppare una nuova coscienza circa i temi della sostenibilità etica e ambientale del digitale, come il corso sul web sostenibile in collaborazione con il Politecnico di Torino.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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