Ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti raggiungono le acque del mare e, grazie alle forza delle correnti, vanno a formare delle concentrazioni di spazzatura in zone specifiche: le cosiddette isole di plastica. Non si tratta di superfici calpestabili, ma di vere e proprie discariche di rifiuti galleggianti che si sono accumulati nel tempo negli oceani di tutto il mondo, composte da rifiuti di vario genere, ma specialmente di frammenti microscopici di plastica che si trovano sia sulla superficie che nel fondo del mare.

Le isole di plastica più famose

L’isola di plastica più famosa è la Great Pacific Garbage Patch, nota anche come il Pacific Trash Vortex,  situata tra il Giappone e le Hawaii. La sua estensione non è conosciuta esattamente, ma le stime riportano dimensioni variabili tra i 700 mila km² fino a più di 10 milioni di km², per un totale di 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati. Il primo a dare l’allarme e a mobilitare la comunità scientifica è stato Charles Moore, oceanografo americano, che individuò questa isola di plastica nel 1997 mentre tornava da una regata. Impiegò ben 7 giorni per attraversarla.

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Anche l’Oceano Atlantico ha le sue isole di plastica: la North Atlantic Garbage Patch, scoperta nel 1972, estesa 4 milioni di km² è la seconda isola più grande per estensione; la South Atlantic Garbage Patch si estende per oltre 1 milione di km², viene mossa dalla corrente oceanica sud atlantica ed è è considerata una tra le più piccole. Al largo del Cile e del Perù c’è la South Pacific Garbage Patch, una discarica grande 8 volte l’Italia con una superficie che si aggira intorno ai 2,6 milioni di km².

Infine troviamo le ultime due isole di plastica, ossia, l‘Indian Ocean Garbage Patch, scoperta nel 2010 nell’oceano da cui prende il nome, che si estende per più di 2 km² e ha una densità di 10 mila detriti per km² e l’Artic Garbage Patch, scoperta nel mare di Barents, in prossimità del circolo polare artico nel 2013, l’isola più piccola e recente.

Per fronteggiare questi giganti di plastica, sono stati messi a punto dei sistemi composti da una grande barriera trainata da navi in grado di setacciare l’acqua degli oceani e ripescare l’immondizia. Questi modelli sono stati testati e impiegati per ripulire la Great Pacific Garbage Patch e hanno iniziato a riscuotere i primi successi nel 2018.

Una nuova macchina “mangia rifiuti”

The Ocean Cleanup è un sistema progettato per raccogliere la plastica dagli oceani rendendoli nuovamente puliti. Negli ultimi 12 mesi questo progetto ha già raccolto oltre 100 tonnellate di plastica grazie a 45 operazioni nell’Oceano Pacifico ripulendo complessivamente un’area di 3 mila km², una dimensione paragonabile alla superficie del Lussemburgo.

Dopo il successo riscosso dai primi due modelli, il System 001 e il System 002, è stato presentato il nuovo impianto mangia rifiuti, più grande e più efficiente, System 003 costituito da enormi reti sostenute da tubi galleggianti trasportate dalle correnti oceaniche. Questo nuovo sistema è composto sostanzialmente da tre navi che individuano e identificano i punti dove si trovano i rifiuti grazie all’ausilio di droni, trainano un enorme sistema di reti larghe 2.500 metri e profonde 4 nelle aree interessate e in questo modo raccolgono i detriti per poi incanalarli in una zona di ritenzione.

Quando le reti sono piene, vengono issate a bordo e i rifiuti vengono caricati su dei container e portati a terra per essere smaltiti. Secondo le stime, la differenza fondamentale è che una flotta di System 002 richiederebbe più di 50 impianti per pulire completamente il Great Pacific Garbage Patch, mentre con l’aumento della scala e l’efficienza complessiva ottimizzata del System 03, basterebbero dieci di questi nuovi sistemi per ripulire il 50% dell’isola di plastica in 5 anni.

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Giovanni Binda

Giovanni Binda

Giovanni Binda, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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