Il 4 marzo 2023 le Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo sulla regolamentazione e la tutela dell’alto mare, ovvero le acque che si estendono oltre le 200 miglia nautiche dalle coste degli Stati. La stesura di un quadro giuridico globale è stata possibile grazie alla non scontata comunione di intenti tra Unione europea, Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina.

Per tutelare il 30% dell’alto mare e rispettare gli obiettivi sulla tutela della biodiversità assunti durante la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite tenutasi a Montreal (COP15) il trattato prevede la stesura di un quadro giuridico globale, per la creazione e la gestione di aree marine protette (AMP). Questi santuari dovrebbero porre un limite alle rotte di navigazione, alle attività di pesca, di esplorazione ed estrazione.

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L’alto mare ricopre un ruolo centrale per il pianeta, ma è a rischio

L’alto mare equivale a quasi due terzi degli oceani e dei mari del pianeta ed è l’habitat di specie ed ecosistemi unici al mondo, che coprono oltre la metà della superficie terrestre e custodiscono oltre l’80% delle specie viventi conosciute. I mari e gli oceani che compongono l’alto mare hanno la capacità di assorbire l’anidride carbonica e produrre metà dell’ossigeno che respiriamo. Negli ultimi anni hanno assorbito anche quasi il 90% del calore in eccesso provocato dalle concentrazioni di gas ad effetto serra prodotte dalle attività umane.

Nel tempo in alto mare sono state condotte infatti non solo attività di navigazione e ricerca, ma anche estrazione mineraria e pesca senza particolari limitazioni e ora quasi il 10% delle specie marine sarebbe a rischio di estinzione.

Inoltre, secondo uno studio scientifico condotto dal 5 Gyres Insitute, nei mari nel mondo sono sparpagliati più di 171 trilioni (miliardi di miliardi) di pezzi di plastica. Bottiglie, imballaggi, attrezzature da pesca o altri oggetti si sono frantumati nel tempo in pezzi più piccoli a causa del sole o del degrado. Una particolarità, il mare che registra la più alta concentrazione di plastica oceanica è proprio il Mar Mediterraneo.

L’alto mare si potrà proteggere e questo potrebbe salvaguardare il pianeta

Foto di Naja Bertolt Jensen su Unsplash

Lo scetticismo intorno al trattato

L’accordo sulla regolamentazione e la tutela dell’alto mare lascia delle questioni aperte che hanno provocato scetticismo. In primo luogo, il trattato contiene delle clausole che consentiranno ai firmatari di rinunciare all’istituzione delle aree marine protette in determinate circostanze.

A tal proposito, Greenpeace è intervenuta in merito all’intesa, ricordando che ora dal dialogo si deve passare all’azione. Infatti, se i Paesi membri dell’ONU non ratificheranno rapidamente il trattato e creeranno una rete di aree protette, sarà difficile contenere l’emergenza entro il 2030.

Un altro elemento che ha contribuito a sollevare alcune perplessità è che le conseguenze pratiche del trattato risultano per ora vaghe. È prevista infatti una regolamentazione per lo sfruttamento del materiale genetico delle piante e degli animali marini che vivono in alto mare. Ma anche così, pur potendo verificare nell’ambito delle COP annuali se il trattato verrà rispettato, la ricerca e il passaggio di grandi navi potrebbero non essere vietati totalmente.

Il principale punto di critica resta però quello legato agli organismi già responsabili della regolamentazione delle attività di trasporto, pesca ed estrazione in alto mare. Il trattato infatti per ora non prevede che questi siano soggetti alle valutazioni di impatto ambientale previste. Così, questi enti potranno continuare a svolgere la loro usuale attività.

Il trattato resta un accordo politico dalla portata storica

Ci sono organizzazioni come il WWF che hanno elogiato proprio l’obbligo di effettuare valutazioni di impatto ambientale delle attività in alto mare. D’ora in poi tutte le attività future dovranno essere sottoposte a questi parametri, dando la possibilità di poter contenere le attività dannose.

Inoltre, il trattato rappresenta il primo vero tentativo di definire un quadro giuridico globale e offre un’opportunità di collaborazione nell’ambito della tutela della natura. Un quadro di gestione globale potrebbe infatti contribuire a colmare le lacune nell’attuale mosaico di organismi di gestione. Il WWF ha dichiarato che ora sarà più facile raggiungere un “miglioramento della cooperazione e un minore impatto cumulativo delle attività in alto mare come la navigazione, la pesca industriale e lo sfruttamento di altre risorse.”

Questo fattore in particolare è emerso durante il dibattito che ha portato all’intesa. Nel corso della trattativa i Paesi in via di sviluppo hanno sottolineato la necessità di mettere a disposizione di tutti i soggetti coinvolti le risorse genetiche oggetto delle ricerche scientifiche. Così, la lotta per non essere esclusi dall’accesso a queste risorse alla fine ha fatto prevalere il principio della condivisione.

Ma il dialogo tra nord e sud del mondo potrebbe avere anche risvolti positivi in futuro. Infatti, il trattato si inserisce in una serie di occasioni in cui le due parti, così diverse storicamente, hanno intrapreso la via dell’ascolto reciproco. Questo potrebbe portare i Paesi più industrializzati ad assumersi le responsabilità per la lunga storia di sfruttamento, ma non solo. Dal rapporto con culture e popoli diversi potrebbero imparare a vivere più in armonia con la natura.

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Giovanni Beber

Giovanni Beber

Giovanni Beber. Studio Filosofia e Linguaggi della Modernità presso l'Università di Trento e sono il responsabile della comunicazione di un centro giovanile a Rovereto. Collaboro con alcuni blog e riviste. Mi occupo di sostenibilità, ambientale e sociale e di economia e sviluppo.

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