Made in Carcere è un brand che si basa sull’economia circolare, recuperando le persone detenute. Buonenotizie.it ha intervistato la fondatrice Luciana Delle Donne.

Quindici anni fa, a Lecce, nasceva il marchio Made in Carcere dall’idea di Luciana Delle Donne, ex dirigente di banca e fondatrice della prima banca online del nostro paese. L’idea è quella di favorire l’economia circolare, recuperando materiali tessili di scarto e facendoli lavorare ai detenuti. Il risultato è un brand ormai riconosciuto a livello internazionale e una storia di rigenerazione delle materie prime che va di pari passo con la rigenerazione umana.

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La fondatrice, Luciana Delle Donne, racconta la sua idea di un business che vada di pari passo con il rispetto della dignità umana e la filosofia della seconda occasione.

Com’è nata l’idea di Made in Carcere?

Fin da piccola mi sono sempre occupata degli altri, in famiglia eravamo tanti e toccava a me accudire i miei fratelli. Crescendo questa vocazione a fare del bene al prossimo è rimasta e l’ho declinata anche nell’ambiente della banca. Fondare la prima banca italiana online per me significava dare comodità agli utenti. Avrei sempre voluto fare qualcosa soprattutto per i bambini, essendo una mamma mancata: provo gioia se gli altri crescono grazie al mio aiuto.

Il messaggio che sta dietro al concetto che la rigenerazione dei tessuti passi attraverso la rigenerazione umana è molto forte… 

Il nostro obiettivo è costruire autostima nelle persone, attraverso l’educazione al lavoro. Grazie a Made in Carcere i detenuti non sono più una vergogna o un peso: percepiscono un regolare stipendio e possono aiutare le loro famiglie. Produciamo borse e accessori e ogni pezzo che vendiamo ha dietro una storia e un progetto di vita: per questo ci fa piacere vedere nostri conterranei che indossano con orgoglio i nostri prodotti. Lo fanno anche alcuni personaggi famosi ma quando lo fanno le persone comuni sai che stai facendo un investimento sul futuro.

C’è anche una forte impronta ecologista dietro Made in Carcere.

Realizziamo gadget personalizzati con materiale di recupero che le aziende tessili danno a noi anziché mandarlo al macero. Noi stessi forniamo gratuitamente stoffe in esubero alle sartorie sociali del territorio. La nostra filosofia è un’economia riparativa e rigenerativa: vogliamo educare al rispetto dell’ambiente, al lavoro, alla seconda opportunità. Dovremmo tutti diventare un po’ più spartani e liberarci dal superfluo: io per prima, fino a qualche anno fa ero circondata da cose inutili. Ma poi realizzi che niente è più appagante di sapere di aver contribuito a cambiare una vita.

Proprio per questo è fondamentale che la sperimentazione di Made in Carcere continui grazie alle nuove generazioni.

Oltre alle carceri di Lecce, Trani, Taranto, Bari e Matera nelle quali abbiamo creato delle vere e proprie maison, abbiamo avviato un progetto anche nel carcere minorile di Bari. I ragazzi producono biscotti vegani e biologici a forma di cuore, utilizzando le eccellenze del territorio. Gli studenti della Luiss, che spesso provengono da famiglie benestanti, quando vengono a svolgere il tirocinio da noi si commuovono perché si confrontano con realtà di cui non avevano consapevolezza. Aiutiamo i ragazzi, anche quelli in libertà, a cambiare stile di vita, gli insegniamo nuove ritualità e, nel caso dei detenuti minori, li prepariamo all’uscita dal carcere. La replicabilità del modello, riconosciuta a livello nazionale e internazionale, è fondamentale: tra non molto lascerò spazio a qualcun altro che prenderà il mio posto.

Quale impatto ha avuto sul territorio Made in Carcere?

Non lavoriamo unicamente dentro al carcere ma anche fuori, per far sì che l’esperienza sia compresa da tutti. Siamo in contatto con i grandi produttori di stoffe che ci riforniscono ma anche noi riforniamo le piccole realtà locali con il nostro materiale in esubero. Il nostro obiettivo è realizzare una sorta di “supermercato sociale” nel quale doniamo i tessuti a chi ne ha bisogno. Generare solidarietà significa creare bene che circola: il cosiddetto “benessere interno lordo”. Dare e darsi, per noi, è la nuova frontiera della solidarietà. 

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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