I ricercatori in tutto il mondo sono impegnati nel valutare attraverso vari studi se il Long Covid può essere combattuto con i farmaci e i vaccini usati nel trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2. La presenza dei sintomi anche a distanza di mesi dalla negativizzazione ha contribuito alla nascita di diversi progetti locali e ministeriali per informare e supportare tutti coloro che ne hanno bisogno.

Uno studio pubblicato sul The Lancet, rivista scientifica inglese di ambito medico, ha mostrato che i vaccini possono prevenire le conseguenze post virali di circa la metà degli infetti e anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso una ricerca internazionale, autorizzata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per valutare l’impatto che i farmaci hanno sulla persistenza del virus nel tempo.

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Long Covid, il vaccino riduce il rischio

Secondo un recente studio israeliano il metodo più efficace per diminuire le probabilità di sintomi virali anche a distanza di tempo è la vaccinazione. Sebbene la ricerca accademica non sia ancora stata sottoposta alla valutazione degli esperti specialisti, i dati preliminari suggeriscono l’incidenza positiva dei vaccini sulla persistenza dei segnali della malattia. I numeri rilevati dall’indagine mostrano che le possibilità di sviluppare il Long-Covid diminuiscono di circa il 41% su 3.000 infetti vaccinati.

Il 23,2% di persone coinvolte nella sperimentazione ha mostrato un graduale miglioramento dei sintomi dopo la negativizzazione rispetto ai non vaccinati, che sono il 15,4% e gli over 60 hanno riscontrato maggiori benefici rispetto ai partecipanti di età compresa tra i 19 e i 35 anni.

Long Covid, gli studi sui farmaci

Per combattere una condizione post virale sempre più diffusa, i ricercatori stanno verificando se gli antivirali usati durante il trattamento dell’infezione possano incidere positivamente nel tempo. “In teoria, un farmaco che riduce la gravità della malattia potrebbe fare altrettanto anche sui sintomi del Long Covid – sottolinea Danny Altmann, immunologo dell’Imperial College di Londra al  Guardian – Ma quest’ultimo non è sempre associato a gravi malattie acute. Ci sono molte persone che sono state distrutte dalle conseguenze dell’infezione, sia stata essa asintomatica o quasi asintomatica”. 

La ricerca di base e clinica sulla sindrome è notevolmente accelerata e sta impegnando tutti gli esperti nel mondo. L’Università di Oxford ha finanziato Panoramic, sperimentazione che ha l’obiettivo di verificare se farmaci usati contro l’infezione, come il Molnupiravir, possano diminuire il rischio dei sintomi a distanza di tempo.

Long Covid, lo studio dell’Oms

Di fronte all’emergenza sanitaria, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso lo studio Solidarity in collaborazione con l’Università di Helsinki per approfondire ed avere maggiori conoscenze sul persistere dell’infezione. Gli esperti stanno monitorando l’evolversi in un anno della condizione clinica di migliaia di partecipanti, ricoverati in ospedale per aver contratto il virus e trattati con il farmaco antivirale Remdesivir.

Lo stesso studio sta inoltre verificando se altri due preparati medici, l’Infliximab e  l’Imatinib, abbiano incidenza positiva contro l’infiammazione dei vasi sanguigni. Coordinatore della ricerca in Italia è il centro di Divisione di Malattie Infettive, Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona, in collaborazione con 32 centri clinici dislocati su tutta la nazione per rendere accessibile a tutti la partecipazione.

Testati i farmaci per combattere il Long Covid

Nel resto del mondo non si fermano le ricerche: l’Università di Chicago nell’Illinois sta esaminando gli effetti che il farmaco Sirolimus ha sui contagiati, per indagare nello specifico la fibrosi polmonare manifestati da molti. Nel Regno Unito invece gli studiosi, impegnati nello studio Heal-Covid, stanno verificando le conseguenze sul sistema cardiovascolare dell’Apixaban e dell’Atorvastatina, medicinali usati per diminuire l’infiammazione dei vasi sanguigni. Il test condotto serve a verificare se la cura con entrambi i farmaci riduce ricoveri e decessi ad un anno dalla negativizzazione e dimissione dall’ospedale dei soggetti partecipanti all’indagine.

Gli esperti sono concordi nel sostenere che le prime certezze e risultati possano giungere solo a distanza di tempo, tuttavia i numerosi approfondimenti sulla questione lasciano presupporre importanti soluzioni e buone notizie.

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Antonella Acernese

Antonella Acernese

Antonella Acernese, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it da settembre 2020 grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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