Le strutture museali espongono solo l’8-10% delle loro collezioni. Come rendere fruibile ciò che dorme nei depositi dei musei?

Lo scorso 6 novembre a Rotterdam è stata inaugurata quella che molti esperti definiscono una rivoluzione nel mondo della museologia contemporanea. Si tratta del Depot Boijmans, il primo deposito museale che apre al pubblico in maniera permanente e rende visibili i propri tesori. Per i curatori d’arte è una data da ricordare, ma le proteste dei cittadini che hanno visto il progetto del parco pubblico soppiantato dal Depot hanno destato una divisione interna al problema. La questione dei depositi dei musei è molto seria, secondo un’indagine UNESCO-ICCROM del 2011, in 136 paesi del mondo il 60% dei depositi si trova in gravi condizioni di incuria. Tutto ciò è aggravato dalle politiche museali: una quantità molto ridotta delle collezioni è esposta, mentre il resto è conservato per la ricerca. Quali le soluzioni pratiche e plausibili?

Il Depot Boijmans di Rotterdam

Fino a ieri costituiva i piani bassi del Boijmans Von Beuningen, oggi è il Depot: una succursale super tecnologica dell’antico museo olandese. Sono 150mila le opere che porta alla luce dagli abissi, inaugurando nel contempo un nuovo modo di intendere l’esposizione d’arte. Il progetto – tanto desiderato da Sjarel Ex, direttore del museo – ha salvato le opere dai continui allagamenti dei vecchi sotterranei e riprogrammato mostre e allestimenti che, ora, non innescano più sensi di colpa. Erano molti gli allagamenti che fino a un anno fa costringevano lo stoccaggio dei pezzi d’arte presso costosissimi capannoni dislocati. L’edificio, costruito dal gruppo di architetti MVRDV, rende finalmente giustizia alla più importante collezione dei Paesi Bassi composta da capolavori di Bosch, Rembrandt, Tintoretto, Sisley e Memling che va dal XV secolo fino ai nostri giorni.

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La soluzione proposta non si limita all’esposizione, bensì è articolata da un sofisticato sistema di climatizzazione e di nuove tecnologie. In questo spazio si valorizza il concetto di “manutenzione” delle opere attraverso visite guidate all’interno dei suoi laboratori di restauro. Un altro punto a favore del Depot è la realizzazione di un magazzino per poter conservare collezioni private grazie anche a vantaggi fiscali. L’affitto dello storage costituisce un rimedio al concetto di inalienabilità dei beni che a lungo andare ha costretto questi a rimanere sempre in un luogo.

Il rimprovero dei cittadini di Rotterdam – che al Depot preferivano un parco – indica però l’aver trascurato l’esigenza pubblica. Quali le alternative già esistenti e quali quelle auspicabili per riconsiderare i depositi dei musei?

Progetto RE-ORG: i criteri di qualità dei depositi dei musei

Un cambiamento virtuoso è quello del progetto RE-ORG creato da ICCROM e UNESCO nel 2011. RE-ORG è già realtà in 145 musei del mondo e consiste nel definire criteri di qualità del deposito museale. Si propone in sostanza di creare ambienti organizzati e ottimali col doppio fine di tutelarli e fruirli, garantendo l’accesso degli spazi non solo a studiosi e addetti al settore, ma anche al pubblico.

Il metodo RE-ORG si allaccia al concetto di conservazione preventiva che all’interno di un museo sposta il focus dalle esposizioni ai depositi al fine di ridurre gli interventi di restauro e dedicare ad essi servizi didattici.

La metodologia parte dal Canada e ha diversi riscontri in Europa, soprattutto in Belgio. In Italia arranca ancora, ma un esempio lo fa il Mudec (Museo delle Culture) di Milano che di recente apre su appuntamento il suo deposito, esponendo la grande mole di oggetti e materiali provenienti da tutto il mondo con una turnazione di 3 mesi.

L’art deacessioning britannico

I paesi anglosassoni contano invece sull’art deacessioning, ossia sull’alienabilità delle collezioni pubbliche. Questo consente di cedere le opere incoerenti con la linea espositiva del museo o che hanno subito gravi danni. Così facendo hanno la possibilità di sostituirle con nuove acquisizioni.

Questa pratica suscita tuttavia diverse critiche soprattutto in Italia in quanto, se da una parte permette maggiore autonomia decisionale ai musei, spesso schiacciati dalle soprintendenze, dall’altra andrebbe contro la legge sull’inalienabilità dell’ art. 54 del Codice dei Beni Culturali. Legge entrata in vigore proprio per garantire l’integrità e l’autenticità delle collezioni.

Riqualificazione urbana e museale

L’esempio del Depot Boijmans potrebbe essere perfezionato sfruttando il fenomeno della riqualificazione urbana. Un deposito cioè costruito non in pieno centro ma in luoghi periferici o ad alto tasso di deurbanizzazione. Un esempio già esistente è il Louvre-Lens di Parigi, una dependance del Louvre nata per recuperare vecchie miniere di carbone in abbandono. La scelta del museo parigino ha unito l’arte con il sociale, trovando una trait d’union, o meglio, un mutuo soccorso tra la questione dell’abbandono urbano e l’incuria dei capolavori imbrigliati nei depositi dei musei.

Per far fronte al problema della svalutazione dei depositi dei musei sono dunque diverse le proposte evidenziate negli ultimi anni. Le più fattibili rimangono comunque quelle di rimodulare l’idea stessa di ‘deposito’ creando piuttosto un luogo vivo, pulsante di arte e ricerca oltre che, plausibilmente, un punto di riferimento cittadino apprezzato e custodito con il dovuto riguardo.

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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