Un anno fa, l’inizio della guerra in Ucraina ha iniziato a cambiare – volenti o nolenti – anche le nostre vite. Non si è trattato certo di un fulmine a ciel sereno (il conflitto aveva già avuto un primo, sanguinoso, atto a partire dal 2014, senza che noi battessimo ciglio) ma diciamocelo: nonostante la situazione pregressa e nonostante, nei mesi precedenti, i movimenti delle truppe non facessero presagire nulla di buono, la guerra in Ucraina ci ha colpiti nel profondo.

Nonostante la lunga stagione dei conflitti nei Balcani negli anni Novanta, questa è infatti la prima guerra che ci fa sentire minacciati “in casa” cioè all’interno della cornice europea. Inoltre, dato ancora più preoccupante, l’eco geopolitica del conflitto russo-ucraino e la presenza di armi nucleari sta riportando alla ribalta lo spettro di una Guerra Fredda potenzialmente più pericolosa della prima, considerata la disponibilità attuale di strumenti di distruzione di massa ben più efficaci di quelli esistenti nel secondo Dopoguerra.

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Come abbiamo vissuto questo primo anno di guerra? In preda all’ansia, in parte, e con una forte impennata delle polarizzazioni già in atto (e che la pandemia aveva reso ancora più recrudescenti). In questo senso, così come era successo per la pandemia, i media hanno spesso e volentieri cavalcato l’onda e anziché maneggiare le notizie in modo consapevole e responsabile – all’interno dei capisaldi di quella che in gergo si chiama “comunicazione del rischio” – hanno in buona parte cercato semplicemente di incrementare l’audience. Questa copertura delle notizie non ha fatto che lasciare visibimente “scoperto” un altro lato dell’informazione. Un modo alternativo di raccontare la guerra.

Sarebbe stato possibile parlare della guerra in Ucraina in modo diverso? Noi crediamo di sì. In parte, basandosi sull’approccio alla notizia teorizzato da un ramo collaterale del giornalismo costruttivo, il peace journalism che ha il suo cardine nelle teorie del sociologo norvegese Johan Galtung e negli studi di un dipartimento dell’Università di Sydney capitanato da Jake Lynch. Il giornalismo di pace – molto poco conosciuto e molto poco messo in pratica – porta avanti un approccio al conflitto, prima ancora che alla guerra, che ha il suo cardine nella decostruzione delle fake news su entrambi i fronti, nello smorzamento dell’approccio polarizzato alla notizia e nella copertura anche di tutti quegli aspetti che riguardano la ricerca delle soluzioni e la narrazione del “dopo” cioè degli scenari post bellici che finiscono sempre, puntualmente, per cadere nel dimenticatoio dei media. Di questo approccio e dell’importanza di continuare a coprire, cioè raccontare, anche le guerre dimenticate (quelle che rischiano di essere percepite come “non più di moda”) abbiamo già parlato in questa intervista.

Con lo Speciale che pubblichiamo oggi, cerchiamo invece di offrire ai nostri lettori un colpo d’occhio lucido su questo primo anno di conflitto raccontando come siamo cambiati e come sono cambiati alcuni aspetti cardine del nostro mondo: dalla gestione delle risorse energetiche all’approccio ai fenomeni migratori, al tema, spinosissimo, dell’eco culturale e della percezione del conflitto stesso. La verità è che, come qualsiasi macrofenomeno, la guerra in Ucraina ha una portata trasformativa enorme, che va ben al di là degli scenari più direttamente colpiti. Capire cosa sta cambiando significa maturare una consapevolezza di ciò che realmente siamo: non fruitori passivi delle notizie ma potenziali “attori” che si muovono sullo scenario di un mondo in trasformazione.

Tutti gli articoli dell’inchiesta:

Cosa è successo nell’ultimo anno del conflitto tra Russia e Ucraina

Gas e non solo: la guerra in Ucraina ha cambiato la gestione delle nostre risorse

Migranti ucraini: il bilancio dell’accoglienza a un anno dallo scoppio del conflitto

Propaganda, social e TV: così viene raccontata la guerra in Ucraina

Essere ucraini o essere russi fa differenza? Le ripercussioni della guerra in Italia

L’impatto culturale della guerra in Ucraina: la situazione a un anno dallo scoppio del conflitto

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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