Tra i tanti diversi modi di fare scuola esistenti al mondo, il modello scolastico finlandese è universalmente considerato come uno dei migliori. In cosa possiamo prender spunto dalla Finlandia, quali sono i segreti della scuola più elogiata al mondo e quali i modelli che nel nostro paese difficilmente funzionerebbero? Ne parliamo con Andrea Magni, collaboratore della rivista di cultura e informazione La Rondine, che da vent’anni vive e lavora nel marketing nel paese scandinavo.

Finlandia, i bambini al centro

Considerato il Paese più felice al mondo secondo il World Happiness Record, la Finlandia è un esempio di applicazione dell’equità sociale. Il punto di partenza della società finlandese è la scuola, con una prima differenza rispetto all’Italia: gli insegnanti sono più giovani di quelli italiani (il 7% ha meno di 30 anni e il 57% meno di 50) e il precariato è praticamente inesistente. “In Finlandia gli insegnanti sono dipendenti comunali, non statali”, spiega Andrea. “Forse anche per questo non esiste la precarietà che contraddistingue il settore dell’insegnamento in Italia”.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

Il modello scolastico finlandese funziona in primis perché è lo specchio di una società in cui i bambini sono al centro. Uscita a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale, la Finlandia si è risollevata da una situazione di povertà e analfabetismo non migliore di quella dell’Italia ponendo le politiche sociali e l’aiuto alle famiglie al centro del suo welfare. Ora la Finlandia è tra i Paesi al mondo che spende di più per la scuola, davanti a Paesi come Canada o Germania: siamo ben lontani dal misero 4% di PIL che l’Italia destina all’istruzione.

“In Finlandia i bambini vanno a scuola un anno dopo rispetto all’Italia, a sette anni: si cerca di farli restare bambini più a lungo. Il sistema scolastico finlandese è improntato al pragmatismo: un amico scherza dicendo che la Finlandia è un paese di ingegneri. Per studiare geografia, ad esempio, fanno visite didattiche per vedere e toccare con mano la materia”.

Un modello scolastico che punta alla cooperazione

In una società che instilla nei bambini il tarlo della competitività e del livellamento intellettivo, la scuola finlandese preferisce un modello educativo basato sulla collaborazione. Le lezioni, fin dai primi anni, sono frontali nel vero senso del termine: i bambini sono stimolati al pensiero critico, viene chiesta la loro opinione. Gli stessi insegnanti sono incoraggiati a portare le loro idee per contribuire al miglioramento del modello scolastico e la privatizzazione è pressoché nulla. Le scuole private sono anzi invitate a collaborare con quelle statali.

Andrea ci tiene a ridimensionare un aspetto spesso travisato della scuola finlandese: Non è vero che non esistono i voti. I voti vengono dati fin da subito, non sono numerici ma certificano l’avvenuta acquisizione o meno delle competenze. Non è vero nemmeno che ognuno studia quello che preferisce: gli studenti vengono invitati a pensare per obiettivi, ad esempio ‘questo semestre voglio imparare a fare, voglio migliorare questo’. I voti sono molto importanti in funzione del liceo: molti licei non accettano studenti al di sotto di una certa media”. 

Gli studenti finlandesi, al termine del ciclo scolastico obbligatorio, sanno parlare ben tre lingue: un risultato che fa arrossire i nostri studenti, che secondo l’Ocse sono tra i peggiori in Europa in inglese.

“Solitamente, oltre al finlandese, si insegna come seconda lingua lo svedese, che è la seconda lingua ufficiale. Poi una seconda o terza lingua. I libri di inglese di mio figlio, che fa la quinta elementare, sono molto più avanzati di quelli dei bambini italiani: la televisione non è doppiata e tutto è in lingua originale. Proprio grazie a questa “esposizione” alla lingua inglese sono molto più avvantaggiati dei loro coetanei italiani”. 

Cosa, del modello finlandese, potrebbe funzionare anche da noi. E cosa no

Pur riconoscendo i limiti della scuola italiana, Andrea ne sottolinea un aspetto senza dubbio positivo: “In Finlandia manca, anche negli adulti, la cosiddetta cultura generale. Non danno una grande importanza allo studio della letteratura e della storia, che si inizia a studiare in quinta elementare. I risultati si vedono sugli adulti, che hanno grosse carenze”. 

La Finlandia mette al centro del suo metodo scolastico l’alfabetizzazione digitale e la tecnologia. Un vero miraggio per il nostro paese, che ha sofferto grandemente durante la pandemia per la scarsità di mezzi utili alla DAD e che si trova ancora molto indietro in quanto a digitalizzazione. Ma non è tutto oro ciò che luccica: il pericolo è che un’esposizione massiccia alla tecnologia fin da piccoli segni per sempre i bambini a livello neurologico. Inoltre non è dimostrato che i supporti tecnologici siano d’aiuto ai piccoli studenti, che avrebbero invece bisogno di un ritorno a un metodo di insegnamento più tradizionale, che li riconnetta con l’ambiente e li preservi da una società in cui la tecnologia è ormai pervasiva.

Per restare al passo coi tempi la scuola italiana dovrebbe aggiornarsi: “In Italia si studia ancora con un metodo vecchio di decenni. In Finlandia invece vengono fatte continue riforme, l’ultima delle quali è stata piuttosto travisata dai media, ovvero l’apprendimento per fenomeni: affrontare una materia da più punti di vista. Il sistema finlandese non nasce ieri, è frutto di decenni di investimenti e studi. Per applicarlo anche in Italia vanno prima risolti problemi molto più strutturali. Lo vedo più come un obiettivo a lungo termine che come un risultato che si può ottenere con un decreto”.

La scuola finlandese, dunque, funziona indubbiamente molto bene all’interno di una società come quella finnica, distante anni luce da quella italiana. Il modo più efficace di implementare il nostro sistema scolastico, quindi, è “copiarla” con criterio, mantenendo le differenze culturali che ci contraddistinguono e tenendo presente che ciò che funziona in un Paese con meno di 6 milioni di abitanti e con un Welfare State granitico, non può funzionare allo stesso modo in un Paese popoloso e fiscalmente arretrato come l’Italia.

Leggi anche:

Ecco perché la scuola deve guardare alla tecnologia (e lo sta già facendo)

Come migliorare l’apprendimento a scuola partendo dalla riorganizzazione degli spazi

Scuola in presenza: nuovi problemi, nuove soluzioni

Educazione emotiva: ecco perché si deve insegnare a scuola

Condividi su:
Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici