Una recente sentenza in Portogallo pone sul piatto della bilancia una problematica attuale in tutto il mondo: come regolamentare lo smart working?

Da quando è c’è la pandemia, è esplosa la “moda” dello smart working, o lavoro agile, o lavoro da remoto. Questo neologismo, che prima del Covid-19 interessava appena il 13% delle imprese, coinvolgendo mezzo milione di lavoratori in Italia, indica una modalità di lavoro svincolata dalla presenza in ufficio o in azienda. Molti sono i vantaggi dello smart working, ma molti sono anche i disagi, come ad esempio la sensazione di dover essere sempre reperibili. Proprio per ovviare a ciò il Portogallo ha approvato un emendamento, da cui si potrebbe prendere spunto.

Smart working: i vantaggi

Secondo le aziende e i lavoratori che l’hanno provato, soprattutto in periodo pandemico, lo smart working è una scelta dalla quale non si torna facilmente indietro. Indubbiamente presenta molti vantaggi: dal punto di vista aziendale consente un maggiore investimento nella formazione, soprattutto web. Le aziende hanno investito maggiormente nella formazione e i risultati si vedono. Spiega Costanza Patti di Fondirigenti, fondo per la formazione dei manager: “Abbiamo investito nella formazione manageriale, aumentando del 70% i progetti dedicati alla formazione a distanza rispetto a undici mesi fa e i risultati dimostrano che la readiness aziendale in meno di un anno è salita del 16%, portandosi al 56%”.

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I vantaggi più immediati e riconosciuti dello smart working sono vissuti in prima persona proprio dai lavoratori. Poter lavorare da casa, senza lo stress di un pendolarismo spesso disagevole, ha influito notevolmente sulla salute mentale e fisica degli impiegati. Molti lavoratori originari del Sud Italia, emigrati al Nord per lavorare, hanno scelto di restare nella loro terra d’origine quando la pandemia li ha costretti a rimanere a casa per lavorare. La vicinanza alla propria famiglia, l’ambiente di casa e il notevole risparmio economico hanno contribuito a far scegliere a molti di continuare con la modalità da remoto anche dopo la fase emergenziale. Si stima che almeno il 54% delle imprese continuerà a usare lo smart working, anche dopo la pandemia.

Anche l’ambiente ringrazia: evitare gli spostamenti e di congestionare il traffico delle grandi città consente di evitare fino a 300 chili l’anno di emissioni di Co2.

Il “lato oscuro” dello smart working”

Anche una modalità di lavoro che sulla carta sembra paradisiaca come lo smart working presenta però qualche insidia. La prima, di carattere puramente tecnico, è l’arretratezza del nostro Paese in termini di velocità di connessione, che non consente ai lavoratori di essere competitivi come in azienda. Molti lamentano anche la mancanza di socialità e di condivisione degli spazi comuni con i colleghi. Per questo alcuni lavoratori hanno fatto la scelta di lavorare in smart working solo due o tre giorni a settimana, in modo da mantenere comunque un contatto con l’azienda.

Il punto più delicato va però a interessare la psiche dei lavoratori e ci interroga su quanto sia cambiata la società rispetto a qualche decennio fa, quando la dimensione del lavoro e quella privata erano rigidamente separate. In un’epoca in cui lavorare da casa sta diventando la nuova normalità, succede sempre più spesso che l’ambito lavorativo si intrometta con forza in quello privato, anche al di fuori dell’orario di lavoro. Negli ultimi mesi si è parlato molto di “diritto alla disconnessione”, ovvero: il diritto di non essere “scocciati” al di fuori dell’orario di lavoro. E in Europa il Portogallo è il primo Stato ad aver emanato un emendamento al riguardo.

Diritto alla disconnessione

“Da quando sono in smart working, ovvero da più di un anno, lavoro ben oltre le mie sette ore previste dal contratto. Non solo, ma dal momento che il mio lavoro dipende da ciò che fanno le figure dirigenziali, spesso mi ritrovo in orario d’ufficio a girarmi i pollici, aspettando che mi arrivino mail o pratiche da svolgere. Mi chiamano a tutte le ore, per fortuna non di sera. Mi è capitato più di una volta di dover rispondere a chiamate durante la pausa pranzo e dopo l’orario d’ufficio.

In sede la connessione al portale di network è veloce, mentre a casa si blocca continuamente. Nelle fasi più calde dell’emergenza, quando a essere in smart working era tutta la famiglia, si litigava per avere un posto tranquillo per lavorare e ci si disturbava a vicenda. Francamente non vedo l’ora di tornare in ufficio: sarà una questione generazionale, ma lo smart working non fa per me”. La testimonianza di D., impiegata presso un ente pubblico, è emblematica di quel “diritto alla disconnessione” che ha portato il Portogallo a stabilire che i datori di lavoro non potranno più contattare i dipendenti al di fuori dell’orario di lavoro. Le nuove regole prevedono che le spese legate al lavoro da casa siano a carico delle aziende, estende la platea di lavoratori che potranno usufruire dello smart working e lo regolamenta dal punto di vista contributivo.

I lavoratori a distanza non saranno discriminati rispetto a quelli in presenza e verrà garantita formazione costante e riunioni in presenza periodiche. Secondo la ministra del lavoro Ana Mendes Godinho, “lo smart working può essere un “punto di svolta” se ne sfruttiamo i vantaggi e riduciamo gli svantaggi”.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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