I ragazzi del Rione Sanità di Napoli: un esempio di unione e resilienza che abbatte la malavita e fa rinascere un intero quartiere.

A Napoli, fra l’antica città dei vivi e la collina dei morti, si estende un quartiere in cui tanti ragazzi hanno fatto nascere un nuovo senso di appartenenza alla città: il Rione Sanità. Un agglomerato di palazzi, motorini e vita, che dipingono un Rione che per anni è stato considerato il sinonimo di malavita; un’area dove i turisti e i napoletani stessi non accedevano e dove chi vi nasceva aveva due possibilità: diventare uno dei tanti, o andare via.

Questa però, era solo la visione di chi guardava da fuori: perché i ragazzi e gli abitanti Rione Sanità erano fortemente leganti all’idea di abbattere questo muro di stereotipi e maldicenze. Grazie al carisma di Don Giuseppe Rassello e di Don Antonio Loffredo, alla voglia di riscatto e alla tenacia dei residenti, dal 2016 ad oggi il Rione è rinato; è un contenitore per la comunità, un esempio per il nostro Paese, per poter dire: solo con la resilienza, l’unione e la voglia di crescere le cose possono cambiare.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

 In viaggio nel Rione Sanità

Il viaggio nel Rione Sanità, inizia dalle Catacombe di San Gennaro: un luogo emblematico, fulcro della storia di Napoli. Grazie alla disponibilità dei ragazzi dell’Associazione Paranza, accompagnati da Titti, abbiamo potuto scoprire i segreti del Rione e toccare con mano la forza di chi vi abita.

“Quello che oggi vediamo è il risultato di secoli di storia – racconta Titti a Buonenotizie.it – In passato questa era l’area cimiteriale più importante della città, divenuta Basilica e tomba di San Gennaro. Il quartiere era fra i più nevralgici:  un corridoio reale, per condurre la nobiltà verso la reggia di Capodimonte. L’area in cui si colloca il Rione, è impervia, in quanto su una collina; per ridurre la tortuosità della strada, a partire dall’epoca francese (1806), fu realizzato il Ponte della Sanità. Questo agevolò gli spostamenti, ma chiuse sempre più in se stesso il Rione, che divenne una sorta di periferia, in cui gli scambi con il centro si affievolirono sempre di più.

L’isolamento portò il Rione ad una sorta di autogestione: questa scelta fu deleteria, in quanto la ghettizzazione creò un giro di malavita che si riflette ancora oggi. Degrado e criminalità divennero la carta di identità del Rione, che fu sempre scartato dai percorsi turistici e dai napoletani stessi. Ma il Rione Sanità è vivo ed è casa nostra, e noi ragazzi abbiamo da sempre creduto nelle sue potenzialità. Grazie all’arrivo, nel 2000, di Don Giuseppe Rassello si iniziò a credere all’idea di un vero cambiamento del Rione. Con fatica, gli abitanti iniziarono a comprendere che la bellezza può dar vita ad una rinascita”.

Un gioco da ragazzi, divenuto realtà 

“All’inizio – continua Titti – 5 ragazzi giocavano a fare da accompagnatori ai turisti: facevano a gara a chi riusciva a convincere il maggior numero di persone a scoprire questo luogo. Erano davvero pochi coloro che avevano il coraggio di raggiungere il Rione. Il gioco, ha iniziato a concretizzarsi in un’idea: si è creata una cooperativa per recuperare la catacombe e, grazie ad un bando per valorizzare il Sud Italia, si è dato vita ad un progetto per riaprirle al pubblico.

Da 5 ragazzi, unitisi quasi per scherzo, siamo arrivati a 40. Ognuno di noi lavora qui, vive nel Rione ed è orgoglioso di esserne parte. La Basilica è quindi stata il primo punto chiave per attirare l’attenzione dei napoletani e non sulla nostra area. Il passaparola del pericolo, si è trasformato in un telefono senza fili per scoprire la bellezza del nostro Rione.

Dopo questo primo slancio, abbiamo continuato a partecipare a molti bandi nazionali o dedicati al Sud Italia. Da principio, gli obiettivi erano semplici, atti a trovare la spinta per partire. Dopo i primi successi e la gioia degli abitanti nel vedere che questa idea si stava concretizzando, si è iniziato a cooperare. A poco a poco sono emerse nuove opportunità di lavoro per i giovani e meno giovani. È nata una rete che sta ancora crescendo, che coinvolge negozianti, studenti, neo laureati e ristoratori, per dare una nuova veste al Rione Sanità. Gli obiettivi sono tanti, abbiamo dato vita ad un’orchestra per bambini, b&b che hanno dato nuova veste ad antichi edifici, ludoteche e teatri”.

Il rione Sanità: l’unione dei ragazzi che fa rivivere il quartiere @Foto Sergio Siano – Catacombe di Napoli

Arte, cultura e collettività: i progetti dei ragazzi del Rione Sanità

Solo se ci credi ce la puoi fare – si commuove Titti – questo è il motto di Don Antonio Loffredo, che è uno dei nostri punti di riferimento. Ognuno di noi ragazzi ha compiti differenziati; si lavora con i bambini, con le ragazze vittime di violenza, o con i commercianti. Le capacità di ognuno, sono la forza per il gruppo. Durante la didattica a distanza, siamo riusciti a fornire computer alle famiglie che non potevano permetterselo e consentire così ai ragazzi di continuare a seguire le lezioni. 

Io lavoro all’interno delle catacombe, dopo aver studiato Scienze del turismo, e sono molto fiera di quello che è stato fatto e che ancora si realizzerà. Ogni giorno i turisti aumentano e scoprono le meraviglie di questa area così declassata. Le catacombe sono gestite dall’Associazione Paranza, ma sono nate tante altre associazioni. Il network che si sta creando è meraviglioso e vincente.

Il Rione e i suoi abitanti stanno cambiando: si cerca di dare voce a ognuno, coinvolgendo le persone in progetti ad ampio raggio. Nessuno è escluso e questa rete cerca di allontanare dal pericolo e dalle trappole più rischiose i ragazzi più fragili. Tutto ciò è stato possibile perché si è avuta l’opportunità e il coraggio di iniziare, senza farsi scoraggiare dalla difficoltà.

Ad oggi siamo sempre più uniti. Con gli introiti delle vendite dei biglietti delle catacombe e le donazioni, finanziamo i nostri progetti: all’orizzonte, ce ne sono sempre di nuovi, pronti a crescere come noi”.

Leggi anche:

Napoli: la città più hipster d’Italia

Giovani e montagna: la storia dei ragazzi di Melle

La scommessa di un paesino siciliano per arginare la migrazione dei giovani verso le città

Il teatro Bellini di Napoli si inventa la sua (originale) Zona Rossa

 

 

Condividi su:
Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici