BuoneNotizie.it inaugura una rubrica di inchieste costruttive per i suoi lettori.

Inchiesta e giornalismo: due termini che, nell’immaginario comune, vanno a braccetto. Eppure – a voler ben vedere – la parola inchiesta è un termine di confine, che il giornalismo condivide con l’ambito investigativo. E che va, infatti, a designare uno specifico tipo di giornalismo: il giornalismo investigativo.

È da più di un secolo che fare inchiesta è entrato nel DNA del giornalismo e dell’immagine del giornalista stesso inteso come whatchdog, cane da guardia della società. Dai tempi in cui Nellie Bly si finse pazza per accedere al manicomio femminile dell’isola di Blackwell, pubblicando poi sul giornale di Joseph Pulitzer una delle prime inchieste propriamente dette. Gli stessi anni, pressappoco, in cui un’altra giornalista, Ida Tarbell, puntava i riflettori sulla corruzione di Rockefeller con un’altra inchiesta di rilievo.

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Erano i tempi dei muckrakers, gli “spalaletame”: da qui alle inchieste dei pistaroli italiani – negli anni Settanta – e all’apoteosi del giornalismo d’inchiesta, quando con lo scandalo Watergate Bob Woodward e Carl Bernstein fecero cadere nientemeno che il presidente degli Stati Uniti, era solo questione di anni. Oggi, come allora, dire giornalismo d’inchiesta significa far emergere ciò che non va. Puntare il dito sulle tante piaghe della società: in una parola, “spalare letame” come facevano i muckrakers cent’anni fa.

Forti di questa eredità, ci siamo chiesti: come possiamo usare gli strumenti del giornalismo costruttivo per fare un nuovo tipo di inchiesta? O meglio: come fare delle inchieste costruttive per i nostri lettori? È così che è nata questa rubrica. Le inchieste di Buonenotizie.it continueranno a parlare di problemi ma lo faranno da un’angolatura diversa: con lo scopo di portare alla luce non solo il problema ma anche – e soprattutto – le soluzioni.

Lo abbiamo fatto parlando di alcolismo e di incremento dell’alcolismo ai tempi della pandemia con un’inchiesta in cui abbiamo  cercato di usare i numeri in modo non infodemico. Cioè in modo mirato: per circoscrivere un fenomeno e dargli contorni concreti anziché amplificarlo (perché mettere a fuoco un problema è il primo passo per superare la paura e iniziare a cercare risposte). Insieme al problema, abbiamo però messo a fuoco anche le soluzioni parlando di peer education, metodi messi a punto per contrastare le dipendenze e anche sistemi “calati dall’alto” come il modello islandese e le sue applicazioni nel mondo, Italia compresa.

Oggi il nostro percorso continua con un’inchiesta sui problemi degli adolescenti durante la pandemia. Ancora una volta, abbiamo usato i numeri per aiutarci ad abbozzare un quadro generale, dopodiché ci siamo rivolti a psicologi ed esperti per parlare in modo costruttivo di dati, problemi del sonno, dipendenze, uso intelligente dei social network, ruolo dell’informazione. Mettendoci dal punto di vista del lettore – e immaginando che molti siano genitori o abbiano a che fare con adolescenti – abbiamo cercato di mettere gli strumenti del giornalismo costruttivo al suo servizio, per dare un volto al problema ma portare alla luce (insieme al problema) anche le soluzioni. Lo faremo ancora con altri temi nevralgici che, caro lettore, troverai in questa rubrica. Non si tratta di recidere il cordone ombelicale con le origini e la natura del giornalismo d’inchiesta: si tratta piuttosto di aggiungere un tassello in più. Come ai tempi dei muckrakers, è questione ancora di “spalare letame”. Con la coscienza, però, che – come diceva Fabrizio De André – “dal letame nascono i fior”.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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