I cambiamenti climatici sono la principale sfida del nostro tempo: una sfida in cui – a differenza di altre più circoscritte – ogni abitante del pianeta è parte in causa. Proprio per questo è così importante non solo parlarne ma anche “parlarne bene” ovvero nel modo più efficace a produrre un impatto utile e tangibile sui lettori. E, di conseguenza, sul mondo in cui viviamo.

In questo senso, siamo davvero sicuri che i toni apocalittici utilizzati dalla maggior parte dei media siano utili a innescare una reazione proattiva nel pubblico? Parlare di “ultima occasione” o di “punto di non ritorno” non rischia, piuttosto, di generare la sensazione frustrante di avere a che fare con qualcosa di più grande di noi? Noi temiamo di sì. Ma soprattutto, siamo convinti che esistano altre chiavi di lettura per parlare di cambiamenti climatici. Chiavi di lettura costruttive capaci di trasmettere al lettore il messaggio che si può fare qualcosa, che molto si sta già facendo e che – soprattutto – gli attori principali del cambiamento siamo noi. Ne siamo convinti e non in astratto.

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Nel 2015, nei mesi precedenti alla Conferenza sul Clima di Parigi, il Guardian diede via alla campagna “Keep it in the Ground”: uno sforzo gigantesco condotto per convincere alcune fra le principali compagnie a disinvestire dai combustibili fossili, generando coinvolgimento attivo da parte dei lettori. L’aspetto più interessante di questa campagna, però, fu proprio la chiave di lettura nuova in base a cui venne condotta: una chiave di lettura costruttiva, appunto. Premessa doverosa: scegliendo un taglio costruttivo, il Guardian non mirava a indorare la pillola, anzi! Non a caso, era già stato proprio il Guardian – fra tutti i quotidiani – a premere perché, per dare rilevanza al tema, si iniziasse a parlare del climate change come climate crisis.

Sulla base di queste premesse, anziché utilizzare toni apocalittici dipingendo gli scenari peggiori, i giornalisti del Guardian misero in luce proprio l’altra metà del tema, raccontando i benefici che avevano tratto dall’uso delle rinnovabili i tanti Paesi del mondo che avevano già deciso di ridurre l’uso dei combustibili fossili. Obiettivo: far percepire il cambiamento come possibile e stimolare i lettori a mobilitarsi per fare pressione su realtà, governative e non, più grandi di loro.

L’inchiesta di BuoneNotizie.it sui cambiamenti climatici: raccontare l’altra metà della notizia

Con questa inchiesta, abbiamo cercato di abbracciare proprio questo tipo di ottica parlando di cambiamenti climatici in modo nuovo. Lo abbiamo fatto, innanzitutto, parlando di ciò che si sta già facendo da parte di grandi realtà, pubbliche e private: per esempio sul fronte della conservazione della biodiversità. Lavorare per la conservazione e l’ampliamento delle aree protette, significa infatti tutelare e incrementare quegli efficacissimi polmoni verdi (i boschi) che oltre a generare ossigeno rappresentano anche giganteschi serbatoi di stoccaggio del carbonio che, altrimenti, si riverserebbe nell’atmosfera. Cosa si sta facendo, in questo senso? Molti sanno che due dei nostri parchi nazionali quest’anno festeggiano cent’anni ma pochi sanno che le aree protette italiane tutelano 1/3 della fauna e il 50% delle specie floristiche europee.

Un altro tema di cui si parla molto poco è anche quello della cosiddetta filantropia ambientale, cioè dei macro investimenti che alcune big del settore privato stanno facendo per arginare i cambiamenti climatici, e dei loro effetti. Fino a poco tempo fa, la filantropia ambientale rappresentava solo l’8% degli investimenti che si facevano per altri settori (come ad esempio la fame nel mondo). Negli ultimi anni, però, il trend è cambiato e dal 2016 al 2020 la percentuale è addirittura raddoppiata. Ma quali progetti stanno foraggiando queste donazioni? Molti. Alcuni enormi, come un’iniziativa dell’World Economic Forum che su vaste aree di terreni degradati del pianeta mira a piantare un trilione di alberi, in grado di assorbire 205 gigatonnellate di CO2. Ci sono poi altre iniziative infinitamente più piccole, che hanno però prodotto effetti enormi: una piccola fondazione, per esempio, investendo solo 20.000 euro in una campagna serrata è riuscita a ottenere da parte della Banca Europea per gli Investimenti (il braccio finanziario dell’UE) la rinuncia a investire in combustibili fossili entro il 2021.

Dopo aver indagato cosa già stanno facendo grandi realtà sul fronte dei cambiamenti climatici e quali effetti si sono ottenuti, abbiamo poi spostato il focus dell’indagine su di noi: giornalisti e lettori. Basandoci sui risultati di “Perils of Perceptions 2021”, l’indagine con cui ogni anno Ipsos analizza il divario tra realtà e percezione su diversi temi, ci siamo chiesti: quali, fra le nostre scelte individuali hanno davvero maggior impatto sul clima? L’aspetto sorprendente che emerge dall’indagine Ipsos, infatti, è che attribuiamo ad alcune pratiche più importanza di quanta ne abbiano, a conti fatti, in termini di efficacia sulla riduzione di CO2. E visto che agire non basta, ma è necessario agire in modo utile per non scadere nella trappola del greenwashing, abbiamo cercato di dare il nostro contributo per incrementare la consapevolezza dei lettori. Cercando di capire anche cosa possono fare concretamente i media in questo senso.

Nella nostra inchiesta troverete queste e altre tematiche ma soprattutto – questo è il nostro principale obiettivo – troverete una chiave di lettura nuova. E l’idea che, ribaltando la narrazione, è possibile innescare un circolo virtuoso in termini di impatto, capace di convertire la notizia in stimolo all’azione concreta.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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