Da almeno un paio d’anni il fenomeno del mining delle criptovalute vive un esodo costante,  L’alto consumo di energia richiesto dalle schede utilizzate per minare criptovalute come il Bitcoin costringe le fabbriche di mining a trasferirsi in luoghi differenti ogni volta che un nuovo Stato le blocca.

Transizione ecologica e crisi energetica dietro l’esodo globale dei miners Bitcoin

L’esodo delle fabbriche del mining deriva dal fatto che molti Stati in piena transizione ecologica e in crisi energetica non possono far fronte agli alti consumi di energia, senza che questo implichi l’utilizzo di fonti fossili come il carbone. L’ascesa del mercato delle criptovalute e le fluttuazioni di valore del Bitcoin hanno mantenuto, però,  delle aspettative così alte che miners e gestori delle blockchain hanno iniziato a trovare soluzioni alternative ai blocchi imposti dalle maggiori entità statali globali già alle prese con tensioni internazionali e conflitti armati.

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Il rapporto delle criptovalute, in particolare con le istituzioni statali di mezzo mondo, è in una sorta di limbo. Se da un lato le contrattazioni trasferiscono capitale dalle monete tradizionali verso le banconote virtuali, dall’altro, proprio la loro gestione  attraverso le blockchain diventa sempre più energivora.

Stati pro e Stati contro e di mezzo c’è anche una guerra

Negli Stati Uniti il primo Stato ad aver bannato il mining è stato quello di New York. In giro per il mondo si sono osservati ban totali, come in Cina, da cui era iniziato l’esodo globale dei miners nel 2021, o temporanei, magari nei momenti di maggiore richiesta di elettricità da parte delle popolazioni, come accaduto in Iran a settembre 2022.

Le difficoltà poste dall’alto consumo di energia per via del mining non ne hanno fermato i profitti, hanno aumentato invece situazioni di illegalità, talvolta anche ai limiti del paradossale, come accaduto in Russia, dove alcune fabbriche per il mining di Bitcoin sono state trovate nascoste a rubare energia dallo stato persino da dentro una prigione.

La guerra tra il Mondo Occidentale e la Russia sembra si stia combattendo anche sul fronte delle criptovalute. Per gli Stati Uniti, infatti, sembra che parte della capacità dell’economia russa di evadere le sanzioni internazionali stia proprio nell’utilizzo delle contrattazioni con monete virtuali. Mosca, da sempre un pò refrattaria alle energie pulite per via di nucleare, gas e petrolio, sembra confermarlo tramite il pieno supporto da parte del ministro russo dell’energia proprio al mining di Bitcoin.

La criptovaluta Ethereum abbatte i consumi di energia

Sicuramente le critiche sul consumo energetico di alcune delle blockchain hanno prodotto una richiesta di risposte sulla sostenibilità di quelle utilizzate per le criptovalute. Sino ad ora tra Bitcoin ed Ethereum la seconda, passando dalla proof of work (il protocollo di consenso alle transazioni Bitcoin) alla proof of stake (quello attivato da poco da Ethereum), è quella che ha dato la risposta più convincente sul piano ambientalistico abbattendo con percentuali superiori al 90% il consumo di energia necessario per le transazioni.

Fabbriche di mining Bitcoin in cerca di energia sostenibile

Per quanto riguarda Bitcoin e le altre cripto valute che si appoggiano alla sua blockchain, si tenta di trovare fonti di energia alternative al fossile sperando in tecnologie più performanti anche come dispendio energetico.

Su questa scia si inserisce l’iniziativa di TeraWulf, tra le più grandi società di mining statunitensi, con volumi di guadagno tali da acquisire il 25% di una joint venture con la Talen Energy, il produttore di energia del Texas, e accedere così all’energia prodotta dalle sue centrali idroelettriche e soprattutto a quanto prodotto da quelle nucleari.

Tether, criptovaluta stabile che deve il suo volume di mercato specialmente alle transazioni con Bitcoin, ha deciso invece di investire direttamente nella produzione di energia sostenibile da utilizzare proprio per le operazioni di mining del Bitcoin, però, in Uruguay dove il 94% di energia deriva da fonti rinnovabili e in cui esiste una infrastruttura elettrica molto solida.

Anche le criptovalute dovranno adattarsi alla Carbon 0 per il 2050

Nonostante queste iniziative, il cammino verso la piena decarbonizzazione delle criptovalute è ancora lungo. Bisognerà attendere molto tempo perché le aziende implicate nel mining, quando in condizioni di legalità, riusciranno ad essere pienamente Carbon Zero. Per adesso, la dislocazione globale, la regolamentazione poco uniforme tra Stati, i dubbi sull’utilizzo delle criptovalute nell’ambito della illegalità e la concorrenza alle valute di Stato non garantiscono ancora una piena solidità.

La svolta verso un periodo di instabilità geopolitica, inoltre, influenza direttamente l’esistenza stessa di quella che fino ad ora aveva permesso le fortune delle criptovalute: la globalizzazione. Se però la comunità internazionale riuscisse a procedere verso l’obbiettivo del contenimento dell’aumento delle temperature globali anche il mondo del mining dovrà adattarsi e forse un poco lo sta già facendo.

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Pasquale De Salve

Pasquale De Salve

Sono laureato in Filosofia e scrivo per passione. Qui scrivo di ambiente, politica, diritti e qualche volta anche di altro. Cerco di intendere il mondo per quello che è, ma di utilizzare quelle poche parole che ho a disposizione perché possa migliorare. Il suo cambiamento, però, dipende dallo sforzo di ognuno di noi!

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