Le misure alternative alla detenzione, così come vengono definite dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, sono sanzioni che mantengono il condannato nella comunità con una certa restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni o obblighi eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore.

Anche in Italia il carcere non è l’unica forma di esecuzione di una pena, né la principale, infatti la Costituzione Italiana parla esplicitamente di pene al plurale. Se adottate in maniera sistematica queste misure possono essere una valida risposta ad alcune criticità presenti nelle carceri italiane.

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La relazione del Garante al Parlamento

Mauro Palma, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, il 20 giugno ha presentato la relazione annuale sulla situazione delle carceri, tema che abbiamo già approfondito, descrivendo un quadro non del tutto rassicurante: da una parte aumentano i suicidi, dall’altra riprende a crescere il numero dei detenuti calato nel 2020 per effetto della pandemia. Lì dove previsto dalla normativa, il ricorso alle misure alternative alla detenzione può contribuire a migliorare la vita nelle carceri e dei detenuti stessi.

Stando a quanto afferma il Garante nella relazione “sono addirittura 1.319 coloro che sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno e altri 2.473 per una condanna da uno a due anni” circa il 7% del totale. Tutto ciò in contrasto con l’articolo 27 della nostra Costituzione secondo cui la pena carceraria deve essere ridotta al minimo limitando le pene a quelle strettamente necessarie. Questo stato di cose aggrava lo stato di sovraffollamento delle prigioni italiane.

“Il rischio principale – prosegue il Garante – è nella tendenza a non porre attenzione verso gli strumenti di ricomposizione, ricostruzione e riparazione possibile e a non realizzare progettualità in tale direzione, per rivolgersi invece verso il rifiuto, verso l’affermazione di impossibilità di cambiamento di una persona o di un contesto, verso l’adozione di strumenti centrati sull’incapacitazione e la segregazione di ciò che si ritiene irresolubile”

Le misure alternative alla detenzione possono evitare di traformare la pena in uno strumento solamente repressivo, con pessime conseguenze per il detenuto e per la società.

Quali sono le misure alternative alla detenzione?

In Italia le misure alternative alla detenzione o di comunità vengono introdotte dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 e consistono nel porre in atto un’azione, possibilmente d’intesa fra il condannato e l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) che lo prende in carico, finalizzata allo sconto della pena in forme diverse.

Tra le misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario c’è l’affidamento in prova al servizio sociale. Esso si svolge totalmente nel territorio cercando di evitare al massimo i danni derivanti dal contatto con l’ambiente penitenziario e dalla condizione di privazione della libertà e attivando un impegno collaborativo con l’ufficio di esecuzione penale esterna.

La detenzione domiciliare consiste invece nell’esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo previsto dalla normativa per reati la cui pena da scontare non sia superiore ai due anni. Un caso particolare è la detenzione domiciliare speciale al fine di ripristinare la convivenza con figli minori di 10 anni.

Una misura alternativa impropria è la semilibertà, in quanto, rimanendo il soggetto in stato di detenzione il suo reinserimento nell’ambiente libero è parziale.

Le misure alternative sono più efficaci della detenzione secondo quanto riportato dal precedente rapporto Antigone (XVI), infatti solo un detenuto su 200 torna in carcere per aver commesso un reato durante questa tipologia di misura. Al contrario, la carcerazione ha mostrato tutti i suoi limiti, assolvendo difficilmente al compito sancito dall’articolo 27 della Costituzione, ovvero al reinserimento del detenuto nella società.

Tra le misure previste dal Decreto PNRR 2, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile 2022 è previsto un provvedimento che contribuirà a rafforzare le misure alternative alla detenzione. Su proposta della ministra Marta Cartabia sono stati approvati interventi riguardanti il comparto giustizia che prevedono l’assunzione a tempo indeterminato di 1.092 unità di personale amministrativo per rafforzare l’UEPE che permetterà di valorizzare le pene alternative.

Bisogna aver chiara la differenza tra il rendere giustizia e fare giustizia: è questo il cambiamento culturale che deve guidare il riconoscimento dei diritti di ogni persona e che le misure alternative possono contribuire a favorire.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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