La violenza è eliminabile lavorando sul concetto di “identità di genere”, emancipando uomini e donne da ruoli e comportamenti imposti dalla società?

Quando l’identità di genere diventa tossica

La violenza, contro di sé e contro gli altri, è sempre sintomatica di un problema più esteso. Non solo nel nostro Paese esiste un consistente problema di violenza di genere (per fortuna, però, ci sono buone notizie), ma abbiamo dati preoccupanti anche per quanto riguarda i suicidi. In Italia gli uomini sono più propensi a suicidarsi, in un rapporto di 4 a 1 rispetto alle donne, ed è così in tutto il mondo. Su scala globale, i dati sui suicidi maschili sono il doppio rispetto a quelli femminili.

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Violenza di genere e suicidio non sono eventi paragonabili, ma provengono da un disagio che ha radici comuni: una distorta percezione dell’identità di genere. La mascolinità viene spesso interpretata dalle persone violente come una manifestazione di forza pura, incontrastata e incontrastabile, che non può permettersi di crollare. In giovane età, l’errata percezione dell’identità di genere nei maschi può portare a rifugiarsi all’interno di dinamiche “di branco” come le baby gang. Un fenomeno che interessa sempre più anche le ragazze che, per non dover “dipendere” dall’uomo “forte”, interpretano loro stesse questo ruolo, distorcendone il significato.

Mascolinità e femminilità non sono concetti innati: la società li influenza esattamente come influenza i comportamenti violenti che sono la diretta conseguenza di una distorsione del loro significato. Agire sul concetto di identità di genere, quindi, può aiutare a eliminare la violenza di genere e fenomeni come il bullismo o le baby gang?

L’importanza di chiedere aiuto

Uno dei primi ostacoli che intralcia il percorso verso la liberazione dalla violenza è l’impossibilità di chiedere aiuto. Spesso, le persone vittime di violenza si scontrano con pregiudizi, scarsa attenzione da parte delle istituzioni e una buona dose di stigma sociale. Per un uomo, chiedere aiuto è spesso visto come sintomo di debolezza. Che si tratti di un uomo vittima di violenza o di qualcuno che vorrebbe correggere comportamenti abusanti, rivolgersi a un professionista per molti è difficile. Per una donna, rivolgersi a strutture protette o alle forze dell’ordine non è spesso garanzia di protezione e comporta doversi confrontare con domande morbose e spesso tendenziose.

È importante che, fin da bambini, sia uomini che donne siano educati a confrontarsi con le proprie emozioni, saperle riconoscere, imparare l’importanza del consenso e una corretta educazione sentimentale. Per Mara Grunau, direttrice esecutiva del Center for Suicide Prevention in Canada, le donne sono avvantaggiate in questo rispetto agli uomini. Si tende a parlare più apertamente di emozioni e sentimenti con le bambine e i bambini sono spesso incoraggiati a reprimerle, per soddisfare l’idea dell’uomo “forte” alla Boys don’t cry.

Oltre a incoraggiare pericolosi stereotipi di genere, questo tipo di educazione porterà i due sessi, crescendo, a rispondere in maniera controproducente al problema della violenza. Uomini e donne adotteranno comportamenti repressivi e autolesionisti o si rifugeranno nella violenza per sentirsi forti.

L’educazione contro la violenza

La violenza, in qualunque forma si manifesti, può essere sconfitta solo con l’educazione. Per lo psicologo Gabriele Ragozzino “molti studi hanno dimostrato che una corretta educazione sessuale e affettiva, seguendo le linee guida dell’OMS, riduce notevolmente gli atti di violenza tra i bambini, adolescenti e adulti. Tra le tematiche che si affrontano in un percorso di educazione sessuale e affettiva c’è anche quello dell’identità di genere, un aspetto del concetto più ampio di identità sessuale”. 

Il percorso cambia in base all’età della persona e al tipo di comportamento violento compiuto. Il lavoro sull’identità sessuale e i ruoli di genere è particolarmente indicato per i sex offenders. Il presupposto fondamentale, sostiene la psicologa Tiziana Di Fazio, è che il paziente riconosca di avere un problema e sia motivato a farsi aiutare. Un uomo violento può essere guidato, attraverso un percorso psicoterapeutico mirato, a sviluppare l’empatia e a riconoscere l’origine dei suoi comportamenti disfunzionali. Nel caso di un ragazzo l’aiuto è ancor più efficace, dal momento che la sua personalità è ancora in formazione.

L’educazione è fondamentale per sconfiggere i comportamenti violenti. Ma è altrettanto importante scardinare modelli di comportamento socialmente condivisi verso i quali uomini e donne sono, loro malgrado, incoraggiati fin da piccoli.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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