Sono tanti i borghi italiani svuotati e a rischio abbandono. Fenomeno sociale, questo, che prosegue da ormai decenni e non trova ancora un punto di fine. Dall’indoeuropeo bhergh (fortezza), questi luoghi sono simbolo dell’Italia preindustriale e tutt’oggi proteggono, non tradendo il loro antico nome, tradizioni e culture dimenticate dalle metropoli. O meglio, tentano di farlo, sopportando la morsa della desolazione e dell’incuria. I numeri parlano chiaro: secondo Legambiente, il 72% degli oltre 8mila borghi italiani conta meno di 5mila abitanti. 5627 di questi paesini è inoltre a grave rischio abbandono. Quali sono le cause? Quali le soluzioni possibili?

I borghi italiani in abbandono

Il 55% del suolo italiano è composto da borghi con annessi parchi naturali e aree protette. Un immenso tesoro ambientale, archeologico e storico-culturale presente in ogni regione del nostro Paese. Il gruppo di ricerca Planet B ha realizzato un censimento dove si evince che la regione italiana con maggiore numero di comuni abbandonati è la Toscana. Seguita da Piemonte, Liguria e Sardegna. L’area d’Italia principalmente colpita da deurbanizzazione è dunque quella degli Appennini. Le Alpi resistono grazie alla loro economia di valico organizzata in attrazioni turistiche montane e in attività sciistiche.

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I borghi italiani appenninici – da sempre poco valorizzati – subiscono spesso interventi di ristrutturazione edilizia malriusciti, campagne di valorizzazione volte alla “modernità” che spesso oscurano interi siti archeologici, nonché la privatizzazione di aree pubbliche. A questo si aggiunge poi il fenomeno di deurbanizzazione. Fenomeno che rappresenta il maggior impatto negativo, responsabile del degrado di queste aree, che dal dopoguerra ad oggi crea un vortice di ripercussioni difficile da gestire.

Cosa si è fatto finora?

L’interesse da parte dei cittadini e dei vari enti culturali e associazioni ambientali non è mai mancato, ma non è neanche bastato. Molte associazioni di riqualifica infatti si fermano spesso ai finanziamenti pubblici, operando in progetti a breve termine con lo scopo di rivitalizzare un’area per una sola stagione.

L’invito del Ministero della Cultura alle Regioni e alle associazioni è proprio quello di provare una nuova forma mentis: quella dell’imprenditorialità a lungo termine. Imprenditorialità che tiene conto delle varie risorse tecnologiche e che pone attenzione alle problematiche socio-economiche dei borghi italiani. L’appello viene dal Piano Nazionale Borghi, un bando promosso dal Ministero della Cultura molto diverso da quelli finora erogati.

Il Piano Nazionale Borghi

Il fenomeno di deurbanizzazione, si sa, è endemico nell’uomo. Già i Romani assistevano alla migrazione dalle campagne verso l’Urbe. Ai giorni nostri, il grande esodo della popolazione – dai placidi borghi verso le città industrializzate – inizia con il boom economico del secondo dopoguerra. Il censimento di Planet B indica che il 47% dei borghi italiani ha assistito all’abbandono a causa dello spostamento di popolazione dalla periferia alle città. Fenomeno, quest’ultimo, che riguarda 70 casi su 150. Spopolamento che pone un limite alla sostenibilità territoriale e autorizza speculazioni turistiche ad alto impatto ambientale.

Il Piano Nazionale Borghi con scadenza prevista per il 15 marzo, è il primo bando che punta a una visione completa del problema e non si limita a intervenire sul patrimonio culturale, tralasciando il contesto sociale.

“Stiamo gestendo una grande operazione di valenza culturale e sociale – asserisce Franceschini durante la conferenza stampa di lancio –. Si è parlato per molti anni nel nostro Paese di recupero delle aree interne e dei borghi, ma non ci sono stati grandi interventi finalizzati a concretizzare questo obiettivo. Le nuove condizioni tecnologiche consentono di far diventare dei luoghi di lavoro reali delle realtà che fino a pochi anni fa non potevano attrarre né persone, né occupazione. Il Piano Nazionale Borghi va in questa direzione con risorse molto importanti, pari a 1 miliardo di euro, per vincere la sfida del ripopolamento”.

Il bando per il ripopolamento dei borghi italiani

È pari a 1 miliardo la quota stabilita dal Ministero della Cultura per il rilancio di 250 borghi italiani. Il Piano Nazionale Borghi porrà l’attenzione a progetti di rigenerazione culturale, sociale ed economica tramite interventi pilota. Interventi che avranno a cuore infrastrutture e servizi nuovi nel campo culturale, turistico, sociale e della ricerca.

Alcuni esempi progettuali ben visti dal MiC saranno la nascita di scuole o accademie di arti e mestieri, alberghi diffusi, strategie di turismo dolce e diversificato (non stagionale e invasivo), residenze d’artista, centri di ricerca e campus universitari, nonché residenze sanitarie assistenziali (RSA). Residenze, queste, dove sviluppare anche luoghi attrezzati per famiglie, smartworker o nomadi digitali.

Montepulciano e la startup Smartway

Il sondaggio svolto da Airbnb nel 2020 dimostra quanto la nuova cultura del lavoro agile stia trasformando abitudini e prospettive degli italiani. Il 60% degli intervistati ha infatti dichiarato di stare programmando di trasferirsi in maniera permanente presso un borgo di campagna. Con l’avvento del workation, cioè del lavoro svolto in vacanza, il trend prende inoltre una piega tutta nuova.

L’iniziativa nata a Montepulciano tramite la piattaforma Smartway è esemplare. Si tratta di una startup che propone soggiorni pensati per i lavoratori da remoto, presso il comune senese e i borghi limitrofi. Smartway seleziona online le strutture disponibili per il workation, dotate quindi dei servizi digitali necessari. Un turismo alternativo e sostenibile, facilmente replicabile, che parte dal basso e che potrebbe rigenerare borghi italiani in abbandono. Tutto questo attraverso le nuove frontiere del digitale.

Il “ritorno alla terra” dei giovani

Altro fenomeno spontaneo e risolutivo del problema è il ritorno ai mestieri agricoli da parte degli under 35. È una tendenza che emerge dall’analisi Coldiretti Giovani Impresa sulla base delle iscrizioni al registro delle Imprese e Unioncamere del 2020. In quell’anno infatti si è assistito all’aumento del 14% di giovani imprenditori in agricoltura rispetto ai 5 anni precedenti.

Secondo i dati raccolti da Coldiretti, l’Italia vanta di oltre 55mila giovani alla guida di imprese agricole e allevamenti, divenendo leader europeo per numero di imprese portate avanti da under 35. I mestieri della terra inoltre non creano soltanto opportunità di lavoro, ma contribuiscono al ripopolamento dei borghi italiani in abbandono, favorendo la cura del paesaggio e la produzione di energie rinnovabili.

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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