La crisi energetica e la conseguente ricerca di nuove fonti di energia che abbiano il minor impatto sull’ambiente hanno riaperto il dibattito sul nucleare in Italia e, con esso, il tema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Il nostro Paese, insieme a Croazia, Estonia, Portogallo e Slovenia, va verso la procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea per la gestione di questi rifiuti. La Commissione ha infatti inviato un parere motivato, secondo passo del percorso verso la sanzione, in cui si spiega che il nostro Paese si è dotato di un piano per la gestione dei rifiuti radioattivi non conforme alla direttiva europea che li norma.
Per far fronte a questa richiesta l’Italia, dal 2010, ha iniziato un iter per individuare dove sorgerà il Deposito Nazionale, una struttura che permetterà di sistemare definitivamente in sicurezza i rifiuti radioattivi, oggi stoccati in decine di depositi temporanei, prodotti dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle attività di medicina nucleare, industria e ricerca.

Cosa sono i rifiuti radioattivi?

Una prima definizione di rifiuti radioattivi possiamo ricercarla nel decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 che li descrive come: “materie radioattive prodotte o rese radioattive mediante esposizione alle radiazioni inerenti alle operazioni di produzione e di impiego di combustibili nucleari”.

Quindi per rifiuto radioattivo non si intendono solamente gli scarti radioattivi delle centrali nucleari, ma anche quei rifiuti radioattivi prodotti da ospedali o da laboratori di ricerca come, per esempio, la radioimmunologia e la radioterapia, ma non solo: anche parte dell’industria agroalimentare o dei controlli di produzione industriale producono i rifiuti radioattivi.

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Questi rifiuti, chiaramente, non sono tutti uguali, per questo il decreto ministeriale del 7 agosto 2015 ha definito la nuova classificazione dei rifiuti radioattivi nazionali in linea con i più recenti standard IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Le cinque classi individuate e ordinate su una scala di pericolosità crescente partono dai rifiuti radioattivi a “vita media molto breve” e finiscono con quelli ad “alta attività” passando per i rifiuti “attività molto bassa”, “bassa attività” e infine “media attività”.

Che cos’è il Deposito Nazionale?

La maggior parte dei Paesi europei sta realizzando o già possiede depositi definitivi per rifiuti di bassa e media attività. L’Italia, con il decreto legislativo n. 31 del 2010, ha dato incarico alla Sogin, Società Gestione Impianti Nucleari, società di Stato con unico socio il Ministero dell’economia e delle finanze, il compito di localizzare, progettare, realizzare e gestire il Deposito Nazionale.

Il Deposito Nazionale è un’infrastruttura dove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi, che consentirà di completare lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli generati dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca.

Attualmente le aree individuate da Sogin come potenzialmente idonee sono 67 e si distribuiscono tra Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia e Sardegna. Insieme al deposito nazionale verrà realizzato il parco tecnologico, un centro di ricerca e di formazione nel campo dello smantellamento nucleare, della gestione dei rifiuti radioattivi e della salvaguardia ambientale.
Nel Deposito Nazionale saranno sistemati definitivamente e in sicurezza circa 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni.  Di questi rifiuti, circa 50.000 metri cubi derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, circa 28.000 metri cubi dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria.

Come saranno stoccati i rifiuti?

Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi a bassa e molto bassa attività saranno condizionati con matrice cementizia. Verranno, cioè, chiusi in dei particolari barili chiamati manufatti e cementati. Il manufatto rappresenta la prima barriera che, successivamente, verrà inserita nei moduli di calcestruzzo speciale, una seconda barriera le cui dimensioni saranno di 3 metri per 2 per 1,7, progettati per resistere almeno 350 anni.

A loro volta i moduli saranno inseriti nella terza barriera, una cella di cemento armato di 27 metri per 15,5 x 10, anch’essa progettata per resistere almeno 350 anni. Una volta riempite, queste celle verranno sigillate e rivestite con una collina artificiale che sarà una quarta barriera in grado di prevenire l’infiltrazione dell’acqua.
Per quanto riguarda, invece, i rifiuti a media e alta attività saranno stoccati in sicurezza all’interno di una diversa struttura di deposito temporaneo, denominata CSA, Complesso Stoccaggio Alta attività, collocata sullo stesso sito del Deposito Nazionale, in attesa della disponibilità di un deposito geologico. I residui radioattivi e i materiali nucleari a media e alta attività saranno stoccati in appositi contenitori qualificati al trasporto e allo stoccaggio, altamente schermanti e capaci di resistere a sollecitazioni estreme sia meccaniche che termiche come urti o incendi.

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Giovanni Binda

Giovanni Binda

Giovanni Binda, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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