I social network creano dipendenza e incentivano la rabbia, ma ci sono alcune soluzioni per invertire la tendenza.

Secondo alcune recenti ricerche, i social network creano dipendenza e incentivano la diffusione della rabbia. Basti pensare, infatti, a quante volte capita di voler dare solo un’occhiata sui social, per poi non riuscire a staccarsi più, e alle frequenti manifestazioni di rabbia online, come il caso riportato dal quotidiano La Nazione:

Presi di mira dai No vax. Tempesta d’odio sui social

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Si tratta di uno degli ultimi esempi di come di come i social network, anziché incentivare il dialogo autentico, lo ostacolano con critiche distruttive. Ci sono, però, alcune strategie che si possono realizzare per arginare questi fenomeni.

Stop alla dipendenza dai social network

Il trascorrere molto tempo sui social è un fatto conclamato. Quello che, invece, è stato scoperto è che i social network creano dipendenza. A confermarlo è una recente ricerca dell’Università di Yale.

Inizialmente, osservano i ricercatori, per la comunità medica l’unica dipendenza accettata era quella provocata dalla droga, dall’alcool, ecc. Solo in un secondo momento è stata riconosciuta la dipendenza comportamentale, di cui fanno parte il disturbo del gioco d’azzardo e, recentemente, quello da social network.

Cosa fare per non essere più schiavi di quest’ultimo? Secondo i ricercatori, un ruolo fondamentale spetterebbe all’antitrust che dovrebbe incentivare la concorrenza stimolando la creazione di molti più social. Questi, grazie alla competitività, sarebbero di migliore qualità, con meno annunci e con più contenuti interessanti per gli utenti. Per fare ciò, è necessaria una regolamentazione che abbassi le barriere di ingresso in questo mercato per permettere alle nuove aziende social concorrenti di farne parte.

I nuovi social network, secondo lo studio, potrebbero imporre un limite temporale al loro uso. Potrebbero, inoltre, informare gli utenti (o i loro genitori) sul tempo dedicato ad essi. Per migliorarne la qualità, dovrebbero scomparire i “Mi piace” insieme ai contenuti che ledono la salute mentale degli utenti. Si potrebbe sostituire la pubblicità sui social con un abbonamento. L’azienda dei social, così, non sarebbe più spinta a incentivare lo scorrimento infinito dei contenuti, progettato per la visualizzazione delle sponsorizzazioni, tra gli altri contenuti.

Secondo i ricercatori con grande probabilità si andrà in questa direzione, perché attualmente le giovani generazioni sono più consapevoli dei problemi dei social e perché l’Europa si sta già muovendo in tal senso.

Al bando la rabbia

Un’altra caratteristica dei social network è incentivare la diffusione della rabbia e dell’indignazione morale. Questo è quanto emerge da un altro studio, pubblicato su Science Advances, che analizza i dati di 12,7 milioni di tweet.

Secondo lo studio, da una parte vi è una rabbia che disincentiva le trasgressioni morali e favorisce il rinnovamento e la cooperazione sociale. Dall’altra, invece, c’è la rabbia che radicalizza le posizioni politiche, indebolisce la democrazia, contribuisce alla disinformazione e rende i discorsi pubblici spaventosi.

Per i ricercatori è possibile invertire la tendenza, eliminando dai social network la rabbia “distruttiva” attraverso varie strategie. Secondo il sito Popsci.comci si sta già muovendo in questa direzione. Alcuni social si stanno dotando di funzionalità che invitano l’utente a leggere un articolo prima di condividerlo, evitando di diffondere disinformazione che genererebbe rabbia ingiustificata. Oltre a ciò, sarebbe utile dare un’informazione corretta all’utente concedendogli la libertà di esprimere o meno indignazione, con cognizione di causa. L’utente, così, diverrebbe consapevole di come viene influenzato dai social network e dalle altre persone.

Secondo una ricerca pubblicata su Nature, altre strategie potrebbero riguardare l’algoritmo che mostra i contenuti sui social network. Ad esempio, anziché mostrare contenuti che incitano alla rabbia, l’algoritmo potrebbe dare risalto a ciò che accade agli amici o ai membri della comunità di appartenenza.

social network, quindi, dovrebbero fornire agli utenti gli strumenti per stimolare comunicazioni sane, facendo capire loro come le conversazioni possono potenzialmente influenzare la percezione delle informazioni.

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Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

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