Virtuale e reale si intrecciano nelle nostre abitudini quotidiane, l’appuntamento con il Digital Ethics Forum (DEF) di oggi e domani, promosso dall’associazione Sloweb e giunto alla sua quarta edizione, è un’opportunità per riflettere sull’etica della vita digitale. La rilevanza del tema è data anche dal fatto che manca nell’agenda di Governo, come fa notare Gianni Garbarini, moderatore di uno dei tavoli dell’evento, un giusto spazio per il digitale e le sue implicazioni sociali, economiche e ambientali.

Il World Wide Web, comunemente chiamato web, si è spesso trasformato in Wild Wide Web, cioè in una giungla selvaggia in cui  “le grandi company – spiega l’intervistato – sono andate avanti in assenza di regolamentazione, secondo una logica di profitto senza considerare altre possibili implicazioni” per il perseguimento di interessi economici, seppur legittimi, ma privi di un’etica.

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I processi di profilazione, finalizzati alla definizione dei gusti dei consumatori per costruire sistemi predittivi per la soddisfazione del cliente, sono il prezzo da pagare per l’utilizzo apparentemente gratuito dei servizi digitali, come ci racconta il nostro interlocutore. È dunque necessaria una riflessione culturale, etica e sociale.

Cos’è il Digital Ethics Forum?

Il Digital Ethics Forum è un’occasione per mettere al centro quegli argomenti che la politica ha lasciato da parte nella sua agenda. Anche se “la legislazione europea, a partire dal General Data Protection Regulation (GDPR) e i vari Acts (il riferimento è al Digital Markets Act e il Digital Services Act n.d.r.), evidenzia in Europa il desiderio – evidenzia Garbarini – di stabilire delle regole su questi temi”, quando si parla di etica digitale non si può attribuire unicamente alla politica l’onere del dibattito. Il DEF si configura come un’opportunità per far incontrare domande e possibili risposte su un tema cruciale come quello del digitale, che attraversa la nostra quotidianità e riempie ogni spazio interstiziale delle nostre attività giornaliere.

Il Forum serve come forum di discussione ma anche di contatto, ci si parla. Il Digital Ethics Forum – ci racconta Garbarini – lo usiamo per entrare in contatto con le persone perché si impegnino in questa direzione“, cioè nella sensibilizzazione etica alla vita digitale. Traspare in queste quattro edizioni una crescita verso questo argomento: “nel tempo – aggiunge il moderatore dell’evento – abbiamo avuto molti rapporti con realtà diverse, sia istituzionali, sia di imprese, sia di cittadini“. Giusto per dare un’idea della crescita di interesse circa i temi del Forum, basti tener presente che, mentre “all’inizio c’erano cinque o sei progetti, oggi se ne contano una trentina“.

La necessità di parlare di etica digitale ci viene spiegata con una metafora suggerita dall’ospite. “Pensiamo che il blu sia l’informatica e il verde sia l’ambiente, perché il blu diventi verde ci vuole il giallo dell’etica, se non c’è il giallo, il blu dell’informatica va per fatti suoi e diventa incompatibile con l’ambiente, con la questione ecologica. Non è una questione ideologica è proprio una considerazione necessaria. Basti pensare al consumo di energia impiegata per la produzione spropositata di dati inutili. Ci vuole un approccio ecologico, c’è tanto da fare anche individualmente, bisogna disintossicarsi e pulire tanto“.

A chi tocca il lavoro sull’etica digitale?

L’idea è che si può lavorare sull’etica digitale su tre settori: le istituzioni, le imprese, i cittadini-consumatori”, e sono questi gli ambiti attorno a cui vertono gli approfondimenti dei relatori. “Nel forum sono raccolte molte buone pratiche, perché si può lavorare in modo etico” anche su problematiche come quella del digital divide, “un problema decisivo per gli anziani che sono tenuti al margine, tanto più quanto i servizi stanno diventando sempre più servizi informatici. Quello dell’accesso è un problema sociale“, viene messo in evidenza dall’interlocutore. Un altro tema decisivo è: la tutela dei dati personali. Come ci ricorda l’intervistato, “quando c’è stato il lockdown, tutte le scuole hanno utilizzato delle piattaforme per la didattica a distanza. Il risultato è che sono stati messi a disposizione dati personali, volti, abitudini di milioni di minori nelle mani di chi non si sa. Bisogna pensarci, l’impatto della rivoluzione digitale deve essere guidato”.

Noi pensiamo che sul piano dell’istituzioni esistono delle impostazioni che hanno un fondamento morale e si tratta di valorizzarlo e interpellarle per quello che sono. Le istituzioni – continua – possono concepire dei servizi digitali che abbiano a cuore la privacy delle persone” in contrapposizione a sistemi pensati solo per il business. È opportuno allora parlare di “Corporate Digital Responsibility per tutte le imprese, un atteggiamento non antieconomico ma responsabile, sostenibile dal punto di visto ambientale e sociale” o pensare a una patente digitale per attrezzare i consumatori con competenze per un uso consapevole del web.

Sono proprio i cittadini-consumatori gli altri protagonisti di questo processo di consapevolezza che dovrebbe essere stimolato fin dalla tenera età. L’obiettivo è quello di creare un movimento di cittadini responsabili, che si vada ad aggiungere alle piccole realtà e start up che organizzano in modo etico la propria attività digitale. “Il Movimento Consumatori – viene anticipato da Garbarini – ha pensato di creare con sloweb, di cui ha sposato la causa, un osservatorio sul consumo digitale” che sarà lanciato proprio durante il DEF, con l’augurio di accrescere il bacino di utenti che alimenta la riflessione attorno ad un’innovazione più sicura, inclusiva e sostenibile.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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